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Una figlia


TITOLO ORIGINALE: Una figlia
REGISTA: Ivano De Matteo
SCENEGGIATORE: Ivano De Matteo, Valentina Ferlan, Ciro Noja
PAESE: Italia
ANNO: 2025
DURATA: 103'
ATTORI: Stefano Accorsi, Ginevra Francesconi, Michela Cescon, Thony
SCENE SENSIBILI: Una scena di nudo durante la perquisizione; una scena di autolesionismo
1 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 5

Stefano Battisti, rimasto vedovo precocemente, vive con sua figlia, la 15enne Sofia, ed ha da qualche tempo intrapreso una relazione con Chiara che fu l’infermiera di sua moglie fino alla morte di lei. Sofia mal sopporta la presenza di questa donna e nel corso di un forte litigio perde il controllo e l’accoltella uccidendola. Presto arrestata, Sofia confessa e viene condotta nel carcere minorile. Stefano, oltre al nuovo lutto (Chiara era anche incinta), deve elaborare il dolore indicibile di sapere che sua figlia è colpevole di un atto così efferato. Inizialmente non vorrebbe avere più contatti con Sofia delegandoli all’amica avvocato, ma poi ritrova in sé la forza del perdono, soprattutto quando si scopre che anche Sofia (che nel frattempo ha tentato il suicidio) aspetta una bambina. Divenuta madre della piccola Rosa e ottenuto il trasferimento in comunità, Sofia che inizialmente aveva pensato di affidare la bambina a suo padre, decide che potrà provare ad occuparsene lei.

 

Il coraggio di guardare alla banalità del male

Dopo I nostri ragazzi (2014) e Mia (2022), Ivano De Matteo torna ad occuparsi della relazione fra genitori e adolescenti e si trova a suo agio nell’accendere i riflettori sul disagio giovanile e all’interno delle famiglie senza moralismo e preconcetti, ma con la capacità di uno sguardo autentico e una narrazione essenziale. Questa volta la posta in gioco è molto alta perché la banalità del male che viene evidenziata ha conseguenze tragiche. Stefano ha faticosamente elaborato il lutto per la perdita della moglie, ha trovato conforto nell’amore di un’altra donna, ma sua figlia 15enne è come se non gli consentisse di voltare pagina. Per lei quell’altra donna è un’intrusa e la mal sopportazione sfocia in una rabbia omicida. Il dolore per la colpa porta Sofia ad un isolamento parossistico nella sua discesa verso la condizione di carcerata. Il penitenziario è descritto da De Matteo in tutto il suo cupo aspetto claustrofobico fatto di violenze represse, di rumori inquietanti, di sbarre e porte che si chiudono. Sofia è totalmente disperata e tenta di togliersi la vita.

Fuori dal carcere anche Stefano vive un’odissea di solitudine che lo porta sul baratro, ma anche grazie al sostegno dell’amica avvocato (una brava Michela Cescon), trova il coraggio di non cancellare la figlia dal suo orizzonte, ma di andarle nuovamente incontro, offrendole la sua presenza e il suo perdono.

“Cosa farei io al suo posto?” è questa la domanda che sorge spontanea nello spettatore grazie ad un film che ha il pregio di suscitare interrogativi profondi non fermandosi alle risposte più immediate. Tirando le fila del racconto pare scorgersi il convincimento che se si può rinnegare il proprio essere figli, non si può dimenticare di essere genitori e del resto, la disperazione di Sofia, che per buona parte del film pare procedere senza soluzione di continuità verso l’autodistruzione, inizia evidentemente a regredire da quando la ragazza scopre di essere incinta.

Nonostante sia del tutto trascurato il ruolo del ragazzo padre della nascitura, è interessante notare come la consapevolezza sempre più forte di divenire madre aiuti Sofia ad elaborare la sua colpa e a iniziare un percorso di riparazione. Si tratta di un punto di vista positivo e originale nei confronti della vita nascente che con un altro sguardo avrebbe potuto essere considerata banalmente come una problematica in più, di cui liberarsi data la situazione drammatica in cui si trova la madre.

 

 Due interpreti all’altezza di ruoli non semplici

Stefano Accorsi e Ginevra Francesconi sono all’altezza dei loro ruoli non semplici. Entrambi sanno trasmettere l’angoscia profonda, il rimorso e il dolore anche senza parole ma con l’intensità di primi piani su cui la regia insiste molto. I dialoghi sempre misurati permettono di valorizzare la chimica che i due interpreti trovano fra loro e lasciano ammirare una costruzione del racconto fatta spesso per sottrazione.

 

Giovanni Capetta

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