Marta è un’insegnante di educazione fisica che vive a Trastevere con Antonio, chef di una trattoria di cucina romana. Dopo sei anni la loro relazione è in crisi e Antonio decide improvvisamente di lasciare Marta che cade in uno stato di profonda prostrazione. Per il dolore Marta si chiude in sé stessa e inizia a far fatica a mangiare. Consigliata dalla sorella Elisa, si reca da una gastroenterologa e scopre di essere affetta da un tumore inoperabile al quarto stadio. Paradossalmente, da questa scoperta Marta riesce a rielaborare il senso profondo del suo vivere senza pretendere di dare una spiegazione a tutto, ma assaporando la bellezza delle semplici cose e la segreta vitalità degli istanti quotidiani.
Attraverso il dolore per la perdita di Antonio e poi con la scoperta del tumore, Marta compie un viaggio emotivo che la porta a rileggere gli eventi della sua vita con una chiave nuova, non più ripiegata su sé stessa, ma aperta alla novità di un cambiamento inevitabile. Dopo aver scoperto della sua malattia, Marta si dimostra attenta a due sue alunne che si tagliano con gesti di autolesionismo, incomincia a mangiare dalle tre ciotole che ha ricevuto in omaggio al supermercato e che rappresentano una dimensione del tempo diversa, prende in casa la sagoma di cartone di un cantante coreano come compagno di racconti solitari in cui ritrova la voglia di vivere e la passione per le piccole cose. Dal non senso dell’abbandono e dalla precarietà della salute, Marta sa assumere un insegnamento nuovo che non le fa più chiedere ostinatamente il perché delle cose, ma la invita a vivere in profondità il presente.
Marta riesce a pensare alla sua vita anche oltre la morte e a vederne il valore profondo che nessuno potrà toglierle. Anche le relazioni con gli altri mutano prospettiva e Marta si ritrova più accogliente nei confronti di sua sorella, di una ex collega di Antonio, della sua dottoressa, del collega insegnante di filosofia, tutti rapporti che si aprono alla positività e liberano energie nuove. Quando Antonio torna da Marta una volta saputo della sua salute, lei non ha più risentimento e non lo vede più come l’avversario che l’ha tradita ma come un uomo che ha occupato un posto importante nella sua vita. La parabola del racconto ci invita a saper leggere il tempo con lenti particolari, quelle di chi non è più alla ricerca spasmodica dell’autorealizzazione, ma piuttosto viaggia nel presente con un senso di gratitudine per tutto quello che lo circonda.
Dopo aver adattato con Enrico Audenino in un’unica trama i molteplici racconti con cui si presentava l’opera della Murgia, la regista e sceneggiatrice spagnola Isabel Coixet ha fatto un meticoloso lavoro di trasposizione delle tante suggestioni del romanzo anche attraverso il registro visivo. La Roma trasteverina, i dettagli dei luoghi sono evocati attraverso riprese che sanno trasmettere il senso del limite, del non detto e accompagnano l’azione con un carico di emotività sommessa che non si impone, ma suggerisce degli stati d’animo. L’azione è sempre pacata, cadenzata secondo un ritmo interno fatto di pause e vuoti lasciati da colmare. I ricordi del passato sono rappresentati attraverso immagini che appaiono come filmini amatoriali e anche questo connota lo stile della narrazione. Anche gli attori sono tutti improntati ad un tocco leggero che introduce lo spettatore in un’atmosfera interiore delicata e rarefatta. In particolare la protagonista Alba Rohrwacher sa dare al suo personaggio uno spessore speciale fatto anche di silenzi, di attese e di consapevolezza interiore. Elio Germano assume bene la parte del partner più debole che cede di fronte alla complessità della relazione. Buone anche le performance degli altri interpreti.
Giovanni Capetta
Tag: 3 stelle, Drammatico, Film Italiani, film per discutere, film spagnoli