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Amata


TITOLO ORIGINALE: Amata
REGISTA: Elisa Amoruso
SCENEGGIATORE: Ilaria Bernardini (dal suo romanzo Dieci giorni)
PAESE: Italia
ANNO: 2025
DURATA: 96'
ATTORI: Miriam Leone, Tecla Insolia, Stefano Accorsi, Donatella Finocchiaro, Mehdi Meskar, Nika Perrone e Barbara Chichiarelli
SCENE SENSIBILI: Due scene erotiche di cui una di nudo
1 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 5

Nunzia è una 19enne siciliana, studente fuori sede a Roma che resta incinta in seguito ad un rapporto occasionale. Resasi conto della gravidanza oltre la dodicesima settimana non può più abortire come avrebbe voluto ma arrivata al parto sceglie di lasciare sua figlia Margherita in una “culla per la vita” di un ospedale. Parallelamente Maddalena, ingegnere edile sposata da dieci anni con il pianista Luca, al terzo aborto spontaneo vede infrangersi la speranza di diventare madre e per il dolore mette in crisi anche il suo matrimonio. Candidatisi per l’adozione Maddalena è però insicura di saper essere una buona madre e vive con angoscia l’attesa chiamata degli assistenti sociali.

 

La maternità non è così naturale

Il film si apre citando l’inizio della poesia di Un racconto iniziato di Waslawa Szymborska: “alla nascita di un bimbo il mondo non è mai pronto”. Di fatto la nascita di Margherita, la figlia di Nunzia è qualcosa dall’impatto inaspettato e su queste parole, si avvia il racconto in parallelo delle storie di Nunzia e Maddalena, al termine delle quali si arriva alla conclusione che la maternità non è un esito naturale e scontato della condizione femminile, ma piuttosto una scelta che va maturata nel profondo e sedimentata nell’anima. Nunzia, infatti, si ritrova incinta ma non è affatto pronta ad essere madre e in compenso Maddalena vorrebbe con tutta sé stessa dare alla luce un figlio, ma il suo fisico non glielo consente, mandandola così in crisi da maturare il dubbio di non essere in grado di fare neanche la madre adottiva. Con sensibilità tutta femminile la regista Elisa Amoruso descrive i due antitetici dolori e così seguiamo Nunzia nella sua gestazione che la porta a nascondersi dalle amiche e a rifugiarsi in una stanza in affitto lontano da sguardi indiscreti. Dall’altro lato Maddalena ossessionata dalla sua sterilità al punto di mettere in discussione anche la relazione con il marito, non sufficientemente partecipe, secondo la sua sensibilità, della sofferenza che sta provando.

Nunzia arriva a partorire ammettendo di aver cercato di negare l’evidenza fino all’ultimo e accetta a fatica di portare a casa (in realtà in un albergo) la sua bambina in un drammatico lasso di tempo in cui l’attacca anche al seno: noi pensiamo che si stia legando a lei per sempre e invece poco dopo la consegnerà nella “culla per la vita”.

Ispirata ad una storia vera di un bambino lasciato con una lettera nella culla della clinica Mangiagalli di Milano, la vicenda della piccola di Nunzia viene legata a quella di Maddalena e Luca che, in un’ellissi onirica finale, stringono fra le braccia la stessa bambina e ci fanno sperare in una soluzione della loro crisi.

Su tutto domina l’autodeterminazione della donna che si impone con la sua volontà e le sue scelte. Sia Nunzia sia Maddalena vivono con profonda solitudine la loro condizione perché la prima non ha parenti in città e nessuno con cui sfogarsi, mentre Maddalena ha Luca ma questi non riesce ad interagire con il dramma della moglie.

 

Interpretazioni di buon livello in ambientazioni che dettano gli stati d’animo

 Il film si regge sulle buone interpretazioni degli attori, in particolare Miriam Leone dà un’intensità al dolore del suo personaggio e ancora di più Tecla Insolia rende credibile il mondo interiore di Nunzia. La sua spregiudicatezza e sensualità nel ballo in discoteca, la malinconia per la sua Sicilia, lo smarrimento di fronte alla sua neonata che piange e non si calma. La Insolia trova nelle battute essenziali che la riguardano una verità non comune che ne attesta la maturità raggiunta. Più scontata la recitazione di Accorsi che nei litigi rileva una chiave già vista in altri suoi ruoli.

Dal punto di vista registico va evidenziata la capacità della Amoruso di collocare i personaggi in contesti che in qualche modo li connotano. Nunzia è ripresa nella solitudine di una stanza, nello psichedelico momento di un ballo, nella periferia urbana. Maddalena e Luca sono attorniati dall’algido lusso della loro casa che sembra amplificare la freddezza dei loro rapporti.

 

Giovanni Capetta

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