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Frankenstein


TITOLO ORIGINALE: Frankenstein
REGISTA: Guillermo Del Toro
SCENEGGIATORE: Guillermo Del Toro
PAESE: USA
ANNO: 2025
DURATA: 149'
ATTORI: Oscar Isaac, Jacob Elordi, Mia Goth, Christoph Waltz, Charles Dance, Lars Mikkelsen
SCENE SENSIBILI: violenza diffusa, spesso sanguinosa; numerosi dettagli chirurgici e anatomici; una breve sequenza di nudo
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L’equipaggio di una nave intrappolata tra i ghiacci soccorre un uomo ferito e s’imbatte in un essere mostruoso. L’uomo, Victor Frankenstein, svela di esserne il creatore. Ha così inizio la sua sbalorditiva storia: dopo una sofferta e luttuosa esperienza in famiglia, Victor diviene chirurgo. Arrogante e spregiudicato, aspira a dimostrare nientemeno che la reversibilità della morte: la possibilità di rianimare un cadavere, infondendo scariche elettriche nei suoi tessuti. Assemblando le membra di corpi defunti, Victor riesce così a dar vita alla sua «Creatura». Ma qualcosa lo fa pentire: tra i due si scatena una guerra feroce, una stremata rincorsa intorno al globo, fino al Polo Nord…

 

Quanto Frankenstein c’è in Frankenstein?

Dell’omonimo romanzo di Mary Shelley (1818), l’adattamento – in grande stile – di Guillermo Del Toro, oltre a modificare diverse svolte narrative, rimuove la chiave di volta tematica: nell’intenzione dell’autrice, la Creatura (il «mostro») è un novello Adamo in rivolta contro il proprio Creatore. Un essere che, chiamato alla vita per iniziativa altrui, si sente rinnegato dal suo stesso Padre. Così il mostro gli giura odio eterno, sterminando quanto Victor Frankenstein ha di più caro: come se Adamo aspirasse ad annientare l’intera opera della creazione.

A meno che Victor non lo riaccolga: più ancora dell’esperienza del ripudio, la vera tragedia del mostro è quella di chi si dichiara disponibile o legittimato ad amare – dote che non gli è affatto preclusa – solo a patto di essere preventivamente amato. In caso contrario, il suo destino sarà quello di procurare sofferenza: un destino figlio dell’amarezza di chi si è sentito tradito. Un tradimento fonte di infelicità abissale. Un’infelicità da cui il romanzo sembra far discendere – pur senza esplicita condanna – anche le rivoluzioni collettive: in definitiva, la traiettoria dell’intera storia umana dipende dal rapporto tra i singoli uomini e il loro padre, non ultimo quello celeste. Se questo s’incrina, la reazione dei figli può essere quella di fare (tragico) baccano.

Di tutto ciò, Del Toro conserva solo delle tracce, alterandone altre (tra cui la ragione del rifiuto della Creatura da parte di Victor, miccia del loro scontro). Si tratta comunque di tracce pregne di significato: a patto di non cercarvi l’intera, sublime statura dell’originale.

 

Impadronirsi della natura

E a patto di non essere deboli di stomaco: nel raccontare il delirio di onnipotenza dello scienziato Victor, il film – prolisso in più occasioni – non risparmia nulla della procedura di assemblaggio anatomico.

Quella di Victor è una tragedia in parte simile a quella della Creatura: anche lui è in guerra contro Dio, cui vuole sottrarre il dominio della natura e delle energie che la permeano, così da estorcerle il segreto della vita e della morte. Non a caso, il racconto offre un parallelismo tra la resurrezione di Cristo e la rianimazione del corpo deceduto, rivalsa sulla morte di un ebbro Prometeo.

In questo – e in consonanza col romanzo – il film è trasparente: solo i mostri giocano a fare Dio. Perciò il vero mostro non è la Creatura, ma Victor Frankenstein. Non solo perché ostinato a varcare ogni limite, ma anche perché abituato a trattare l’intera realtà come puro accessorio, come materiale grezzo per la propria fantasia sperimentale. Tant’è vero che, non pago di plasmare esseri animati con le proprie mani, si concede anche la libertà di scartarli. Nel suo laboratorio, non è la mente a obbedire alla realtà, ma il contrario. Ma in tal modo, proprio quando si proclama a beneficio dell’«umanità», la scienza giunge a calpestare i singoli uomini reali, abbinando l’umanitarismo più magnanimo a spensierati abomini.

 

«Il mostro sono io!»

Ad ogni racconto horror è infatti sottesa una domanda: qual è la differenza tra l’uomo e la bestia (il mostro)? Cosa rende uomo l’uomo? Domanda cui il film dà una risposta che potrà risultare non ovvia. Di certo, a contraddistinguere l’uomo non è l’aspetto esteriore: difatti non è la prima volta che Del Toro cerca di raccontare, con esito non sempre felice, la dolcezza che può celarsi anche in creature in apparenza ripugnanti, lo struggimento provocato dal farle sentire respinte.

Perciò non sorprende che abbia voluto far suo il mostro di Mary Shelley. Un grido sembra accomunarlo all’autrice: «Il mostro ripudiato sono io!». Eppure, entrambi presagiscono un’incompiutezza – un rischio di menzogna – nell’arrestarsi alla mera esclamazione. S’intravede un seguito: «E quindi come si fa a tornare uomo tra gli uomini?»

 

Marco Maderna

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