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A House of Dynamite


TITOLO ORIGINALE: A House of Dynamite
REGISTA: Kathryn Bigelow
SCENEGGIATORE: Noah Oppenheim
PAESE: USA
ANNO: 2025
DURATA: 112'
ATTORI: Idris Elba, Rebecca Ferguson, Gabriel Basso, Jared Harris, Tracy Letts
SCENE SENSIBILI: occasionale turpiloquio
1 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 5

La base militare di Fort Greely (Alaska) intercetta un presunto missile intercontinentale, proveniente dalla costa asiatica del Pacifico e diretto verso il territorio statunitense. È davvero quel che sembra? Chi l’ha lanciato? Perché non è possibile localizzarne l’origine? Diciannove minuti: questo il tempo che centri di comando, Casa Bianca e quant’altro hanno a disposizione per rispondere ad ogni domanda. E per fermare l’inarrestabile ordigno.

 

Un nemico ignoto

A House of Dynamite è suddiviso in episodi, ciascuno dei quali racconta il medesimo evento, ogni volta affrontato da un diverso staff di politici, funzionari o militari, disseminati ovunque nel territorio americano. Ripetutamente, a un istante dall’impatto, il film riavvolge il nastro per tornare al punto di partenza, facendo rivivere la trepida manciata di minuti dal principio, ogni volta in compagnia di personaggi nuovi. Tra gli altri, Olivia Walker (ufficiale della cosiddetta Situation Room), Jake Baerington (consigliere per la Sicurezza Nazionale) e il Presidente americano.

Anche se l’ultima sezione, per diverse ragioni, soffre di un parziale calo di suspence, A House of Dynamite è un film pregno di tensione. A generarla non è soltanto l’imminente schianto del missile, ma la sua provenienza ignota, a cui nemmeno la straordinaria attrezzatura informatica di cui gli Stati Uniti dispongono è in grado di risalire. Lo sconosciuto avversario è stato così scaltro a eludere la sorveglianza nemica, che c’è da domandarsi se non abbia un alleato sul suolo americano. Il film non vuole soltanto allertare contro la potenza atomica, ma anche riguardo alla difficoltà a decifrare l’attuale scacchiere geopolitico, a distinguere gli alleati dai nemici.

 

Gioco d’azzardo

Il che rende il duello a distanza contro il misterioso ordigno un autentico gioco d’azzardo. Tra trafelate telefonate a governi stranieri e il rincorrersi di aggiornamenti sulla mobilitazione altrui (il missile viene avvistato in tutto il globo), si cerca di indovinare il vero responsabile, la reazione che intende provocare o la trappola che potrebbe voler tendere; di fiutare eventuali bluff; di decidere, in tempo record, se rispondere al fuoco oppure no. Una partita a poker: per la storia, nulla di troppo nuovo. Se non fosse che le carte in mano ai giocatori sono armi atomiche.

A House of Dynamite esordisce infatti con una tetra e schietta dichiarazione: se c’è stato un tempo, non lontano, in cui era possibile sperare in un disarmo nucleare, oggi quell’era – perché di «era» il film parla – si è appena conclusa. Con l’aggravante di non riuscire a identificare gli schieramenti in campo. E nel racconto, ad essere confusi non sono soltanto i protagonisti americani: lo schema di battaglia complessivo sfugge anche alle autorità straniere.

Ciascuno si scopre coinvolto in un gioco più grande di sé, impreparato allo scenario catastrofico spalancatosi in pochi minuti. Difatti, il film è anche una denuncia contro l’incompetenza, tanto maggiore quanto più – secondo la sua analisi – si risale dalla fascia dei funzionari a quella dei politici: mentre di persone come Walker e Baerington si possono almeno encomiare il sangue freddo e l’intensissimo sforzo di coordinazione tra unità operative, del Presidente non si fa che mostrare l’inettitudine. Il giudizio è impietoso: troppo spesso la politica è in mano a narcisisti da avanspettacolo, che, di fronte alla prova, si rivelano dei bambini smarriti.

 

La vita non è un giocattolo

In fin dei conti, A House of Dynamite è la messa in evidenza di un assurdo: quello di chi – come recita il titolo – imbottisce una casa di dinamite, sceglie di viverci e poi si sorprende del pericolo. Come già in altri film diretti da Kathryn Bigelow (The Hurt Locker, Zero Dark Thirty), il problema più grave non sono le minacce letali, ma l’essere umano, di cui la guerra – per causa o per conseguenza – talvolta svela esasperate ossessioni o fenomenali controsensi. Come quello di tremare di fronte a marchingegni di propria invenzione, ma che non si è in grado di padroneggiare.

Qualche spettatore noterà l’analogia con Il dottor Stranamore (1964) di Stanley Kubrick: ma se là si faceva (amarissima) satira, qui si dispiega un dramma senza sconti. Una suspence che rischia, in effetti, di ridursi ad un mero invito a sentirsi angosciati.

Ma si può comunque trovare qualcosa di cui far tesoro: ad esempio, che la vita non è faccenda per irresponsabili, eterni bambini. Non può essere maneggiata come un giocattolo.

 

 Marco Maderna

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