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After the hunt – dopo la caccia


TITOLO ORIGINALE: After the hunt
REGISTA: Luca Guadagnino
SCENEGGIATORE: Nora Garrett
PAESE: USA
ANNO: 2025
DURATA: 138'
ATTORI: Julia Roberts, Ayo Edebiri, Andrew Garfield e Michael Stuhlbarg
SCENE SENSIBILI: nessuna
1 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 5

La vita di Alma sembra perfetta: è una stimata professoressa di filosofia a Yale e suo marito è lo sparring partner ideale nelle serate tra intellettuali radical chic a cui i due sono soliti partecipare. La gabbia dorata delle loro esistenze però collassa quando Maggie, promettente studentessa dottoranda, accusa uno dei docenti di averla molestata. L’affermata Alma si ritrova suo malgrado a dover fare da arbitro morale alla contesa tra il collega, nonché amico intimo (tra i due sembra esserci del tenero) e la sua geniale (così si dice) pupilla. Invece di mettersi però a cercare la verità per fare chiarezza tra loro, la donna si barcamena in un limbo ambiguo e pericoloso, venendo finalmente trascinata in un abisso da cui sarà molto difficile riemergere…

 

Uno strano ticchettio

Il suono di un misterioso ticchettio (di orologio?) accompagna lo spettatore per tutto il corso dell’ultimo film di Luca Guadagnino, presentato fuori concorso all’82esima Mostra del Cinema di Venezia, sublimando alla perfezione il tono emotivo inquieto ed inquietante del racconto, che sembra dirci: non si torna indietro, una volta avvenuto il patatrac. Il film infatti è un thriller psicologico che racconta la caduta di una Julia Roberts in grande forma, riproponendo alcuni temi cari al regista e già proposti in The Challengers, a cominciare dall’ossessione per gli intrighi psicologici e i giochi di potere, in un ambiente mondano caratterizzato da opulenza, ipocrisia ed ambizione.

Questa volta il regista abbandona la competizione esasperata dello sport a certi livelli (il tennis) per trascinarci nell’ambiente accademico, altrettanto competitivo e pieno di storia e di gloria umana, dove in nome di grandi ideali vengono ipocritamente affrontate discussioni inconcludenti su problematiche attuali come l’emancipazione femminile, lo scontro generazionale ed il razzismo, con cui i personaggi sembrano voler dividere ad ogni costo l’umanità in vittime e carnefici, vinti e vincitori (nel finale, con una delle ultimissime battute, verrà detto esplicitamente).

La sceneggiatura, della giovane americana Nora Garrett, sembra suggerire piano piano, sottovoce, che ad incarnare alla perfezione lo spauracchio dell’ingiustizia che i personaggi sembrano voler combattere, almeno a parole, sia proprio Maggie, la giovane studentessa al centro della contesa: giovane, donna, nera e pure omosessuale.

Non senza una punta di ironia, il film sembra sottolineare – anche se sembra abbastanza telefonata come associazione – come tutte queste caratteristiche personali forniscano alla giovane protagonista, retaggio e conseguenza di un certo modo di pensare, una serie di motivi per sentirsi vittima, tanto che ad un certo punto sembra quasi passare in secondo piano, per la diretta interessata ma anche per tutto l’ambiente inevitabilmente coinvolto, se la molestia sia avvenuta o meno. Sempre ironicamente però, si scopre poi che la vittima predestinata ha in realtà ben poco di cui lamentarsi.

 

Giù la maschera

Una volta resa pubblica l’accusa, parte la macchina del fango e un colpo di scena dietro l’altro, iniziano a cadere le maschere: emerge così che il carismatico professore in realtà non è proprio irreprensibile nei suoi comportamenti, la brillante studentessa forse non è poi così intelligente e l’integerrima ed affermata protagonista ha più di uno scheletro nell’armadio.

Così, mentre la struttura narrativa si regge sul mistero delle preoccupanti condizioni di salute della protagonista e su quello delle molestie (la ragazza dice il vero, sta esagerando, o si è inventata tutto?) la verità dei personaggi a poco a poco viene a galla mentre noi veniamo irretiti da scelte registiche anticonvenzionali, tra inquietanti camera look ed inquadrature sbilenche, scomode, che sortiscono l’effetto di mettere a disagio lo spettatore, per fare sentire il dramma interiore ed il precario equilibrio delle relazioni.

 

La tomba dell’amore

Infatti i conflitti tra i personaggi, che in un momento si adorano e un attimo dopo si disprezzano, portano lo spettatore su una giostra emotiva fatta di prevaricazione e bugie, e anche come conseguenza di questo saliscendi, alla resa dei conti emerge un quadro francamente avvilente e un po’ nichilista sul matrimonio e sulla vita in generale. Il finale giustamente ambiguo però esige una sospensione del giudizio perché la protagonista in fondo è un personaggio tragico, ambiguo e refrattario ad un autentico cambiamento, ma non si capisce abbastanza chiaramente quali conseguenze questo modo di essere abbia avuto sulla sua vita.

 

Gabriele Cheli

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