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Black Panther: Wakanda Forever


TITOLO ORIGINALE: Black Panther: Wakanda Forever
REGISTA: Ryan Coogler
SCENEGGIATORE: Ryan Coogler e Joe Robert Cole
PAESE: USA
ANNO: 2022
DURATA: 161'
ATTORI: Letitia Wright, Angela Bassett, Tenoch Huerta e Martin Freeman
SCENE SENSIBILI: scene di violenza nei limiti del genere
1 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 5

L’immaginario Stato africano del Wakanda, il più tecnologico del mondo, piange la prematura morte del re T’Challa, supremo difensore del suo popolo nei panni di Black Panther. Mentre il trono passa alla regina madre Ramonda, nessuno sembra poter riempire il vuoto lasciato dal supereroe, perché nel film precedente l’erba necessaria a dare i superpoteri era stata distrutta. Eppure di Black Panther ci sarebbe estremo bisogno data la congiuntura internazionale. Ad americani e, soprattutto, francesi fa infatti gola il vibranio, il minerale dalle incredibili proprietà su cui il Wakanda ha costruito il suo fantascientifico sviluppo. La scoperta di Talokan, un regno mesoamericano subacqueo abitato da tritoni e come il Wakanda dotato di vibranio, peggiora le cose. Namor, il re volante di quella nazione sommersa, minaccia Ramonda di attaccarla se non si alleerà con lui contro le avide potenze occidentali. Per fortuna, la crisi generale offre occasione a Shuri – la sorella di T’Challa, nel primo film della serie la spigliata ragazza col pallino della scienza – di superare il lutto e cimentarsi lei nel ruolo di Black Panther.

Un gradino sotto rispetto al primo film

Un leader si forma nelle difficoltà, ricordando le proprie radici, dominando l’istinto di vendetta. È il messaggio di un film dalla trama macchinosa, enfatico nello sviluppare in modo in vero piuttosto standard il tema dell’elaborazione del lutto e del dominio dell’aggressività. Il tutto in chiave femminile. La protagonista vive l’arco di trasformazione di una giovane che diventa donna, regina, supereoroina. I personaggi che la affiancano sono anch’essi femminili (la geniale Riri, teenager che progetta il rilevatore di vibranio e armature stile Ironman; Okoye, la fida guerriera; Nakia l’informatrice; naturalmente la regina). Come si vede, non pochi i personaggi. Vanno ancora aggiunti gli agenti della CIA, i capitribù wakandiani, Namor e i suoi antenati… Se ne ricava una sensazione di affollamento.
Intendiamoci, il film offre quello che ci si aspetta da un episodio della saga dei supereroi Marvel: effetti di computer grafica, combattimenti dalle coreografie ardite che sembra di stare in un videogame, appello a valori universalissimi (pace, lealtà, libertà), alternanza di humor e seriosa teatralità. Né l’impostazione del sequel tradisce gli elementi che avevano contraddistinto la pellicola d’esordio su Black Panther. Anche qui c’è un tripudio di estetica afrofuturista (nei costumi bellissimi, nelle architetture che coniugano arcaico e ultramoderno, nel mix di intelligenza artificiale e ritualità ancestrali). Anche qui c’è un antagonista con cui si è invitati ad empatizzare perché alle sue ragioni è dato grande rilievo (il regno di Talokan è nato dalla fuga dei Maja dai conquistadores). Ancora, è mantenuta viva la questione politica di come una nazione deve gestirsi (gestire le proprie ricchezze) nella comunità globale.
Tuttavia… o ci si dispone con fanciullesca sospensione dell’incredulità, o si rischia di restare esterni ad un caleidoscopio esplosivo che mescola tritoni (!) trasportati da balene, interventi di divinità sconosciute, pozioni misteriose, ricombinazioni del DNA, high school, Nazioni Unite, intelligenza artificiale, soldatesse africane con occhiali da sole vistosamente griffati.
È bello però come il film ha ricordato, nella grafica dei titoli di testa, l’attore Chadwick Boseman, scomparso nel 2020, due anni dopo aver interpretato Black Panther.

Supereroi e geopolitica

È interessante considerare l’ottica geopolitica che ispira la pellicola. Gli Stati Uniti non sono più dipinti come il faro del progresso planetario. Anzi. Il messaggio del franchise sulla Pantera Nera è anticolonialista. La fantasia di un popolo del continente dimenticato che, mai dominato da conquistatori bianchi, ha per questo potuto cullare una civiltà splendida. Ciò ha stimolato l’esercizio degli studiosi della materia. È stato notato che nel film del 2018 si fronteggiano due posizioni: il realismo difensivo che punta tutto sulla sicurezza (l’isolazionismo Wakandiano) e la Scuola di Howard (dall’università dove nella prima metà del secolo scorso è stata teorizzata la centralità della questione razziale nelle relazioni internazionali ¬– è il pensiero dell’antagonista Killmonger). Il finale rispondeva ad una visione “costruttivista”, cioè ad una logica di reciproca responsabilità tra gli Stati. Nella seconda pellicola, Namor è il punto di vista di un Paese ferito dal colonialismo che propone un fronte del Sud del mondo. C’è chi ha sottolineato che Haiti, dove l’epilogo del film riserva una sorpresa, è stata la prima repubblica nera libera dopo una lunga guerra contro i francesi.

Paolo Braga

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