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Bones and All


TITOLO ORIGINALE: Bones and All
REGISTA: Luca Guadagnino
SCENEGGIATORE: David Kajganich
PAESE: Italia, Regno Unito, USA
ANNO: 2022
DURATA: 130'
ATTORI: Timothée Chalamet, Taylor Russell, Mark Rylance, Michael Stuhlbarg e Chloe Sevigny
SCENE SENSIBILI: numerose scene di violenza molto efferata; una scena a contenuto omosessuale; linguaggio scurrile
1 vote, average: 1,00 out of 51 vote, average: 1,00 out of 51 vote, average: 1,00 out of 51 vote, average: 1,00 out of 51 vote, average: 1,00 out of 5

La diciottenne Maren scopre, dopo aver “morso fino all’osso” un dito a una compagna, di essere affetta da istinti cannibali. È il padre che glielo conferma, abbandonandola al suo destino dopo averla indirizzata verso una madre che non sapeva di avere. Girovagando sola per le enormi distese delle campagne statunitensi, Maren incontra Lee, coetaneo anch’egli disperatamente in cerca di un’identità perduta. Riconosciutisi nella comune macabra patologia, con efferata violenza si nutrono di corpi e condividono un vissuto che vorrebbero cancellare. Maren fugge dalla madre che l’ha aggredita nel manicomio in cui l’ha rintracciata e Lee confida alla ragazza di aver “divorato” suo padre. Quando pare che i due, forti di un legame consolidatosi, stiano riuscendo a placare le loro pulsioni cannibale, conducendo una vita “normale”, un tragico epilogo li travolge.

Una violenza che acceca

Nonostante il Leone d’argento alla regia per Luca Guadagnino e il premio Marcello Mastroianni alla miglior attrice emergente Taylor Russell, Bones and All è un film che, nell’intento di scandagliare, in modo dirompente, la natura profonda del disagio giovanile, si sbilancia così fortemente nella rappresentazione di una violenza cieca e senza speranza da stordire lo spettatore e lasciargli poco spazio per rielaborare criticamente un eventuale messaggio più complesso. Il cineasta italiano, ispirato dal romanzo omonimo di Camille De Angelis, sceglie di avventurarsi on the road nella sconfinata provincia rurale americana negli anni ’80 e segue il viaggio di due giovani anime perse che si incontrano casualmente e tentano di amarsi in un mondo che le rifiuta per la loro insanabile e occulta diversità. Il racconto, complici fotografia e musiche felicemente in sinergia, aggancia il pubblico dimostrando l’indubbio talento tecnico del regista, ma è il fine che lascia perplessi. In una sua dichiarazione Guadagnino afferma: “C’è qualcosa nei diseredati, in coloro che vivono ai margini della società che mi attira e commuove. Amo questi personaggi […] Voglio vedere dove si aprono le possibilità per loro”, ma il film contraddice questa intenzione perché, il pur romantico sguardo sul nascente sentimento reciproco dei due giovani non li conduce a nessuna prospettiva di rinascita, non riesce a guarire le loro ferite, ma anzi, soffocando la poesia con l’orrore, li relega in un gorgo di autodistruzione in cui l’estremo modo di amarsi rimane quello di farsi mangiare dall’altro; la via eucaristica, se volessimo azzardarla, ma che qui è ben lontana dall’essere esplicitamente evocata.

Giocando col fuoco ci si brucia

È claustrofobica la sensazione che attanaglia il pubblico fin dalle prime sequenze. Maren e Lee, pur con consapevolezze diverse, sono due solitudini che scappano continuamente da se stesse e dal mondo. Hanno scoperto tragicamente la loro natura inconciliabile con la convivenza umana. L’incontro in manicomio di Maren con la madre e l’incubo del parricidio compiuto da Lee li perseguitano. Quello che dovrebbe essere il sogno di un futuro possibile si consuma fino all’ultimo in sete di sangue, senza alcuna via di scampo. Vorrebbero dimenticare l’orrore del loro passato e rifugiarsi in una parvenza di normalità, ma il male ostinato e perverso, impersonato dal loro simile, Sully, li riconduce all’Inferno da cui avevano cercato di allontanarsi. C’è da chiedersi che tipo di ricadute possano prodursi negli animi postadolescienziali verso i quali il film (v.m. 14 anni) ammicca con la performance in bella mostra dell’osannato coprotagonista Timothée Chalamet. A nostro avviso il pur virtuoso regista italiano, capace di far parlare di sé anche all’estero, questa volta maneggia una materia incandescente rischiando di scottarsi lui per primo le mani e senza lasciar spazio a nessuna necessaria catarsi.

Giovanni M. Capetta

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