A bordo di uno dei “treni proiettile” della Shinkansen, la linea ferroviaria giapponese ad alta velocità, all’ora di punta, un misterioso attentatore ha piazzato un ordigno che esploderà solo se il mezzo scenderà sotto la velocità di 100 km orari. Inizia così un’estenuante trattativa telefonica tra il dinamitardo e il centro di controllo delle ferrovie, dove nel frattempo sono accorsi anche rappresentanti della politica e delle forze dell’ordine: per disinnescare la bomba servono cento miliardi di yen (600 mila euro circa), da riscuotere però direttamente dai cittadini giapponesi (basterebbero mille yen a testa, cioè 6 euro). Di fronte all’assurdità della richiesta, tutte le forze in gioco provano a collaborare per guadagnare tempo ed evacuare il treno prima che termini la sua corsa, a Tokyo, sventando così un disastro ferroviario senza precedenti…
Tutto il mondo conosce o quantomeno ha sentito parlare dell’efficienza della flotta ferroviaria giapponese, rinomata per la modernità e la puntualità dei suoi treni. Tra questi spiccano i famosi Bullet train, così chiamati per la velocità e la forma aerodinamica che ricorda, appunto, quella di un proiettile.
Questo emozionantissimo e adrenalinico film, distribuito da Netflix, come in un simpatico ma inutile tentativo di ridimensionare la credibilità e la buona fama del sistema di trasporti ferroviari nel paese del Sol levante, prende alla pancia lo spettatore con lo spauracchio del disastro ferroviario (a quanto pare se ne vedono di più in questo film che in oltre cinquant’anni di storia dello Shinkansen) ma al tempo stesso mostra uno spaccato della società giapponese, radunata senza distinzione di età o appartenenza sociale nei convogli di questo treno avveniristico che con le sue corse ad altissima velocità unisce da nord a sud un Paese, di cui è anche simbolo e fiore all’occhiello per la modernità e l’efficienza che lo caratterizzano.
Sorvolando sulla scarsa, scarsissima verosimiglianza dei fatti raccontati, il film può essere sostanzialmente diviso in due parti: per due terzi infatti si tratta di un action puro, pieno di salvataggi acrobatici, accelerazioni improvvise, frenate e cambi di binario all’ultimo soffio, in cui però la trama è ben poca cosa, in quanto a svolte narrative, e anche dei personaggi non si sa quasi nulla, tutti appena accennati nella caratterizzazione e funzionali più che altro a creare occasionali conflitti che aiutano a mantenere forzatamente alta la tensione per tutti i 130 e rotti minuti del film. Per la struttura narrativa e il soggetto, sono evidenti i riferimenti cinematografici a cui il film è ispirato, storie che hanno raccontato attentati e sequestri di persone a bordo di affollatissimi mezzi di trasporto pubblici (tra gli altri, Speed o Pelham 123 – Ostaggi in metropolitana, remake di remake di un adattamento letterario, per citare solo alcuni tra gli esempi più recenti) ma spingendo gli stilemi classici del genere action al limite, risultando a tratti eccessivo, quasi caricaturale, ma facilmente riconoscibile come appartenente ad una forma espressiva tipica di una certa cultura giapponese.
Nella parte finale del film, invece, man mano che emerge la verità sull’identità dell’attentatore e soprattutto sui suoi moventi, si scivola improvvisamente in un dramma psicologico nerissimo e senza senso apparente, che però è in qualche modo anche sorprendente e lascia un certo spazio per alcune riflessioni d’attualità, come ad esempio quella sui media e su quale impatto essi abbiano sulle persone e sulle situazioni, in una civiltà tecnologica e occidentalizzata come quella giapponese, quindi abbastanza simile alla nostra, almeno da questo punto di vista.
Gabriele Cheli
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