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Cinquanta sfumature di nero


TITOLO ORIGINALE: Fifty Shades Darker
REGISTA: James Foley
SCENEGGIATORE: Niall Leonard dal romanzo di E.L. James
PAESE: Usa
ANNO: 2017
DURATA: 115'
ATTORI: Jamie Dornan, Dakota Johnson, Marcia Gay Harden, Kim Basinger, Bella Heathcote.
SCENE SENSIBILI: diverse scene di sesso esplicite; il film è vietato ai minori di 14 anni.
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Christian Grey torna da Anastasia a pregarla di riallacciare la loro relazione ed ella dopo qualche esitazione accetta. Deve affrontare, però, il passato che ha fatto di lui quello che è e un datore di lavoro troppo esigente che forse ha in mente di fare di lei più che un’assistente…

Poche sorprese e sconfortanti conferme

Secondo capitolo di una saga erotico-sentimentale che sembrava già stanca al primo. Il film di James Foley, adattamento del modestissimo bestseller di E. L. James, offre ben poche sorprese e parecchie sconfortanti conferme. La penna dietro questa pellicola è quella di Niall Leonard, consorte della scrittrice che, non del tutto soddisfatta del lavoro della regista Sam Taylor-Johnson e della sceneggiatrice Kelly Marcel (che avevano firmato il primo capitolo), stavolta ha mantenuto un maggiore controllo creativo sull’operazione.
Il risultato è comunque una storia modestissima, il regno della ridondanza verbale ancor prima che dell’eccesso sessuale (diligentemente distribuito nel corso della storia con una cadenza adeguata a causare più sbadigli che fremiti di eccitazione), dove i personaggi si esprimono per luoghi comuni senza aver l’aria di rendersene conto e anche le domande retoriche ricevono risposte.

Una storia usurata e senza più appeal

Esaurita la novità delle pratiche sessuali di Mr. Grey, la storia si butta senza tanto andare per il sottile sui fantasmi del suo passato (mamma tossica e maltrattamenti) a spiegarne la natura sadica, per altro ormai palesemente domata dalla petulante signorina Steel che, per darsi un tono, cita a sproposito Jane Austen e Charlotte Bronte e in due settimane fa carriera in una casa editrice. Complici sono la morbosa attrazione del capo di turno per la malcapitata (che evidentemente è una calamita per uomini problematici) e le inevitabili molestie, cui seguono rimozione del colpevole e promozione della molestata.
Non sembrerà troppo femminista considerare che sarebbe stata più adatta una denuncia che il solito provvidenziale intervento del fidanzato. Sono situazioni come questa che, soprattutto nell’America di oggi, suonano stonate oltre che involontariamente ridicole, proprio come le sbruffonate del protagonista che esibisce senza vergogna i propri guadagni e le sue numerose magioni in giro per il Paese.
Se la prima pellicola astutamente giocava con le improbabili situazioni di contrattazione tra dominatore e sottomessa, rivestendola di un minimo di ironia, qui tutti si prendono terribilmente sul serio anche quando dicono assurde banalità, e i personaggi secondari sembrano esistere solo nei pochi momenti in cui interagiscono con i nostri.
Dei due protagonisti, Dornan (che ha dimostrato altrove, come nel televisivo The Fall, buone doti di attore) esibisce con un sospetto di imbarazzo il suo corpo scolpito dalla palestra (nel film il voyeurismo è equamente distribuito tra parte maschile e femminile) e un paio di espressioni, mentre la Johnson si limita a un’irritante serie di mossette finte innocenti o compiaciute.
Del resto la dinamica del sesso estremo, del dolore inflitto mescolato al piacere appare anche un po’ usurata in termini di trasgressione (sarà che le frontiere del campo si spingono sempre più in là) e – in mancanza di un vero conflitto tra i due protagonisti – non funziona nemmeno tanto come motore dell’azione, che infatti si ripete senza vere sorprese fino al prevedibile happy ending.

In attesa del terzo episodio

Il tono medio non si distacca da quello del melodramma da televisione d’epoca, incerto tra il compiacimento per la trasgressione e la sindrome dell’‘Io ti salverò’, incapace di decidere se le pratiche sadomaso sono un ingrediente in più in un rapporto altrimenti noiosissimo o l’espressione tormentata di indicibili sofferenze.
In attesa che i protagonisti si chiariscano le idee, ci attende ancora un episodio e, per mantenere un minimo di suspense, sui fuochi d’artificio (metafora abusata che si trasforma in lettera) si staglia un nuovo nemico e almeno un altro paio d’ore di noia in biancheria di pizzo.

Laura Cotta Ramosino

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