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Creature di Dio


TITOLO ORIGINALE: God's Creatures
REGISTA: Saela Davis e Anna Rose Holmer
SCENEGGIATORE: Shane Crowley
PAESE: Irlanda, Regno Unito
ANNO: 2022
DURATA: 101'
ATTORI: Emily Watson, Paul Mescal, Aisling Franciosi e Declan Conlon
SCENE SENSIBILI: una scena di tensione drammatica
1 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 5

Dopo sette anni Aileen può finalmente riabbracciare suo figlio Brian, appena tornato dall’Australia nella sua terra d’origine, un villaggio sulla costa irlandese che si sostenta grazie alla produzione ittica. Il ragazzo si offre di rilevare l’allevamento di ostriche della famiglia, da tempo in disuso, ma a causa dell’inesperienza e delle difficili condizioni di lavoro, non sembra in grado di far funzionare l’attività per guadagnarsi il pane onestamente. Inizia così a vivere di sotterfugi, creando problemi anche al resto della comunità, ma nonostante il comportamento arrogante ed ambiguo del figlio, Aileen lo difende a spada tratta in ogni circostanza, persino quando Sara, una giovane collega della donna, lo accusa di aver abusato di lei. La cieca fiducia della madre però non può durare in eterno…

Sigarette e maree

Il film, presentato alla 75a edizione del festival di Cannes, è un thriller psicologico che racconta la drammatica storia di una famiglia in una piccolissima comunità di pescatori, isolata e sperduta nel nord dell’Irlanda. A dispetto di quello che si potrebbe immaginare guardando il trailer, così serrato ed incalzante (anche per via della musica, che nel film invece è quasi completamente assente) la tensione all’interno della storia è prettamente psicologica e ruota tutta attorno al personaggio di Aileen, la mater familiae, protagonista assoluta non tanto per quanto riguarda il plot ma piuttosto da un punto di vista emotivo e tematico. Grazie a lei, la spirale di eventi (quasi tutti negativi) innescati dal ritorno di Brian viene tradotta in sguardi, silenzi, sigarette (tante) e parole (poche) che raccontano con compostezza ed un certo minimalismo espressivo, la complessità del rapporto con questo figliol prodigo, vero cuore del racconto.
Qui però, il ricongiungimento familiare – che avviene durante il funerale di un giovane pescatore morto a causa delle pericolose maree, presagio del drammatico finale – invece di essere il preludio di una nuova e felice fase della storia di questa famiglia, si rivela ben presto l’inizio di un incubo ad occhi aperti, un percorso forse inevitabile per fare luce sulle necrosi dei rapporti familiari (e, scopriremo più avanti, non solo di quelli).
La protagonista, infatti, vive un conflitto interiore in cui si scontrano un primordiale istinto di protezione, verso quello che lei vede ancora come una creatura da proteggere (da cui forse l’immaturità del figlio, tornato decisamente poco cresciuto dalla sua esperienza australiana) e la voce della coscienza che gli suggerisce, con sempre maggiore forza e decisione, di prendere posizione di fronte alla tracotanza di Brian.

Dolorosi risvegli

La regia, statica e compassata, che concede giustamente tanto spazio alle implosioni interiori della recitazione, e la fotografia, che rende ancora più cupa la scenografia naturale, dura e spoglia, sottolineano bene il torpore esistenziale in cui è intrappolata la protagonista, così come la sua famiglia e l’intera comunità, ancorate a tradizioni, modi ed abitudini, dietro ai quali si cela un diffuso male esistenziale.
Nonostante però la storia racconti una realtà così piccola ed estrema, per caratteristiche ambientali e sociali, non è difficile far proprio il dilemma della donna ed interrogarsi insieme a lei su quale sia la cosa giusta da fare, fino all’ultimissima scena in cui, nonostante il terribile epilogo, si accende finalmente una luce che sembra suggerire una ben precisa risposta, piena di speranza, all’angosciante evoluzione del film.

Gabriele Cheli

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