Elisa Zanetti è da anni detenuta nel penitenziario di Moncaldo, racchiuso tra i boschi delle Alpi svizzere. Condannata per il barbaro omicidio della sorella, non ha mai proferito parola sull’accaduto, né sul suo movente, dichiarando di soffrire di amnesia. Il professor Alaoui, celebre criminologo, tenta un cammino di recupero: forse un modo per decifrare il suo gesto esiste. Forse è ancora possibile perforare il suo impenetrabile silenzio.
Ispirato al libro Io volevo ucciderla – Per una criminologia dell’incontro di Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali, Elisa esplicita il suo audace obiettivo fin dal primo momento: scoprire l’essere umano dietro l’omicida. Lo fa per bocca di Alaoui, la cui ricerca è tesa a rintracciare la sorgente profonda di ogni gesto criminale, anche il più efferato: non per giustificare, ma per stanare la reale radice del problema, senza la quale nessuna soluzione sarà mai possibile. Difatti, la persona che provoca dolore racchiude in sé un mistero non meno profondo di chi il dolore lo subisce: non si tratta di ignorare la vittima, né di deresponsabilizzare il colpevole. Al contrario, accontentarsi di additare quest’ultimo come un mostro, senza coinvolgerlo in un percorso di maturazione, lo deresponsabilizza di più. Si tratta semmai di insegnargli a dar voce alla propria sofferenza. E di offrire ai congiunti della vittima un aiuto a scoprire il senso del male che si è abbattuto su di loro.
Prevedibilmente, la tesi di Alaoui suscita obiezioni, peraltro non scontate. Ma non è la sua lotta controcorrente ciò che al film interessa: una parte è dedicata alle sessioni di terapia con Elisa, l’altra ai flashback della vita di lei, fino al giorno del misfatto. Una serie di colloqui che potrebbe affascinare alcuni, ma stancare altri.
Difatti, nonostante Alaoui sia a caccia della sepolta umanità altrui, della sua umanità non conosciamo granché: il suo interesse per la psiche del criminale è in apparenza soltanto clinico e accademico. Entrare nel suo mondo non è né più né meno che entrare nel laboratorio di uno scienziato. Il perché abbia scelto di investire la propria vita nell’incontrare detenuti e spargitori di sangue è ignoto.
Quanto all’umanità di Elisa, si tratta proprio di scoprire dove questa emerga. Che ci sia, lo si intravede presto (anche grazie all’ottima Barbara Ronchi): ma, chiaramente, la sua enigmatica ritrosia ne preclude l’accesso a lungo. Forse involontariamente, il film procede lungo il crinale tra il racconto vero e proprio e il mero verbale di un esperimento: in una sola occasione tra Elisa e Alaoui s’instaura un contatto al di là della mera interazione analista-paziente, facendone una relazione autentica. È il momento in cui Elisa osa rivolgere lei una domanda al professore, per fargli svelare quel che forse era opportuno mettere a tema fin dall’inizio: perché Alaoui si spende per persone come lei? In quella stanza, a tacere qualcosa non è una persona sola: sono due.
E infatti sono due le persone che cambiano: segno che, nonostante tutto, una vera relazione è comunque in atto. Ma al traguardo raggiunto da Alaoui si dedicano solo poche parole. Quanto ad Elisa, per fortuna se ne seguono fino in fondo i singoli passi: e una volta conosciuta la persona dietro l’assassina, il pubblico può ben accorgersi che le sue grondanti ferite non sono diverse da quelle di molti. In questo, la pellicola centra il suo bersaglio: e riesce a farlo con encomiabile chiarezza, nel massimo rispetto della linearità di cui lo spettatore ha bisogno per orientarsi nel puzzle di una psiche. Il che tuttavia si ripercuote sulla storia, che procede senza imprevisti degni di nota, alimentando l’impressione di essere in ascolto di un mero resoconto scientifico, di una (trasparente) pagina di teoria.
Può darsi che tutto questo sia soltanto l’effetto collaterale della sensibilità sommessa e discreta – le atrocità sono (quasi) tutte fuori schermo – con cui il film intende accompagnarci nella caverna del male, un passo alla volta. Ma il suo procedere in punta di piedi potrebbe depotenziarne l’ambizione. Ambizione già presente nel film Ariaferma (2021), firmato dallo stesso regista e dagli stessi sceneggiatori: quella di ribaltare certi presupposti del sistema giudiziario, di sfidare il senso comune su cosa davvero significhi fare giustizia.
Chi vorrà guardare il film, troverà dunque di che riflettere. Non è tempo perso far conoscenza con Elisa.
Marco Maderna
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