Messico. Rita Mora Castro è un avvocato, il cui avvilente capo è tutto fuorché un amante della giustizia. Una notte, viene rapita da Manitas Del Monte, temuto boss di un cartello di droga. La sua richiesta a Rita è quanto mai singolare: trovare un chirurgo disposto a cambiargli sesso in incognito, così da avere identità e vita nuova, lasciarsi la malavita alle spalle e diventare la donna che ha sempre sognato. Inscenata la morte di Manitas, il suo posto viene così preso da Emilia Pérez, che proverà a rimediare al male commesso nella precedente vita. Ma Manitas/Emilia ha moglie e figli: il loro rientro in scena ne insidia il piano.
Diretto dal francese Jacques Audiard e girato in lingua spagnola, Emilia Pérez è un’originale, a tratti grottesca, crime story in forma di musical: perfettamente godibile nei suoi numeri musicali (una commistione di più generi), lo è forse meno nella sua multicolore e traballante fotografia, figlia, in parte, di un cinema distante da quello hollywoodiano.
Quanto alla trama, la verità è che Emilia Pérez narra due storie assieme: quella di un uomo che si strugge per rinascere donna e quella di un malfattore che aspira a redimersi. Anche se Manitas afferma che, per lui, cambiare sesso e cambiare vita sono sinonimi, che il mutamento del primo è garanzia di rinnovamento della seconda, le due cose sono nei fatti disgiunte. Trasformarsi in Emilia non ha alcuna rilevanza nella sua opera di riparazione del crimine. Né il ricorso alla chirurgia ha il puro scopo di sfuggire alla legge: nasce da un intimo desiderio. I due obiettivi, al massimo, fanno da pretesto l’uno all’altro: uscire dal cartello è una buona occasione per diventare donna, mentre farsi donna è una buona copertura per contrastare il cartello.
A tale forzosa combinazione di trame, che purtroppo non fanno che interrompersi a vicenda, si abbina, a dispetto del coinvolgente esordio, una (quasi) fatale battuta d’arresto: l’attesa di qualche evento che pregiudichi per davvero il piano di Manitas/Emilia viene a lungo frustrata. Un decremento di cui anche la messinscena sembra risentire: la suggestiva potenza di immagini e colonna sonora sembra diradarsi, ad eccezione dell’ultimo, sfavillante, assolo di Rita Castro.
Difatti, a rubare la scena è il personaggio di Rita. Catapultata dalle aule di giustizia al campo avverso, al servizio di un’ex-trafficante, Rita ha più chance di cambiare il Messico flagellato dai malviventi di quante ne abbia al servizio della legge: il che dice molto delle profonde controversie che la storia apre. In questo, il personaggio di Emilia non è da meno: pur volendo dimenticare il passato, non rinuncia del tutto ai metodi di un tempo. Ciò vale – è la pellicola stessa ad evidenziarlo – anche per la sua transizione, per realizzare la quale ricorre a minacce, ricatti e manipolazioni, obbligando altri – chi vedrà, capirà – a reggere il gioco della sua nuova identità. È proprio attorno alla necessità che Emilia impari l’autentico altruismo che si aggira il tema del film.
Quanto alla transessualità, Emilia Pérez ha il pregio di dichiarare la propria posizione con onestà e senza polemica. Bisogna però rilevare che il film non è solo un sostenitore della transizione quale unica soluzione possibile per quanti soffrono di disforia, ma l’auspicio (questo forse meno trasparente) di un immaginario culto nuovo. Se infatti è vero che, ai fini del racconto, il nesso tra cambio di sesso e rifiuto della malvivenza è labile, a legarli è una specifica analogia simbolica. Redimersi implica un rinnovamento dello spirito; e la modificazione del proprio corpo, il tentativo di renderlo conforme ad un sentimento interiore, è evidentemente inteso come la liberazione dell’anima dalla prigione materiale che la mortifica.
Vittoria sul male e vittoria sulla materia sono sinonimi. Sottotraccia, Emilia è una sorta di Madonna o Messia che annuncia un nuovo regno di puro spirito: la cancellazione della sessualità fisica, in quanto soppressione del dato materiale, vuole esserne la via maestra. Una filosofia arcaica, risalente agli antichi gnostici e più volte riapparsa nei secoli, fino ad alimentare l’odierna scienza della transizione (ma può davvero definirsi «scienza» un pensiero che si prende la libertà di scartare un dato – il corpo – a esclusivo beneficio di un altro?). Non a caso, la musica d’apertura è come una profetica armonia angelica che emerge da profondità ultraterrene; e non a caso le immagini smaterializzano più volte gli oggetti in mere composizioni di luce.
È il presagio di un mondo nuovo: di questo si tratta, quando parliamo di Emilia Pérez.
Marco Maderna
Tag: 3 stelle, Commedia, Drammatico, Musicale, Thriller