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Florence


TITOLO ORIGINALE: Florence
REGISTA: Stephen Frears
SCENEGGIATORE: Nicholas Martin
PAESE: Usa/Uk
ANNO: 2016
DURATA: 110'
ATTORI: Meryl Streep, Hugh Grant, Rebecca Ferguson, Simon Helberg, John Kavanagh.
SCENE SENSIBILI: brevi accenni di nudo.
1 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 5

La ricca ereditiera Florence Foster Jenkins ha una passione infinita per la musica, peccato che non sappia cantare e che nessuno abbia il coraggio di dirglielo: né il marito amabile e fedifrago, né i molti beneficiari della sua generosità, né i giornalisti compiacenti. Il giorno in cui Florence decide di esibirsi alla Carnegie Hall, però, il suo fragile mondo immaginario rischia di crollare…

L’ereditiera melomane stonata di Meryl Streep

Va detto subito che il maggior motivo di interesse dell’ultimo film di Stephen Frears (altrove, come in The Queen, biografo più graffiante e puntuale) è la performance di Meryl Streep nei panni dell’eponima protagonista, ricca ereditiera con il pallino dell’opera ma irrimediabilmente stonata.
La storia (vera) si svolge nella New York degli anni Quaranta ed è stata con maggiore crudeltà e intelligenza affrontata da una pellicola francese, Marguerite, in concorso un paio di anni fa a Venezia.
La versione francese aveva un piglio più “sociologico”, che giocava sull’effetto pirandelliano di un personaggio comico che nasconde la tragedia ma mette in luce anche l’inevitabile legame tra denaro, stampa e menzogna collettiva.
Qui invece Frears sceglie la via di un racconto molto conciliatorio, che cerca in ogni modo di guadagnare alla protagonista la simpatia dello spettatore, domandando da lui lo stesso silenzioso assenso al suo mondo di illusioni che esibiscono, per motivi diversi, tutti i personaggi.

Meglio cullarci nelle nostre illusioni se ci aiutano a vivere?

Florence è sì ricca, ma anche generosa nei confronti dei musicisti e dell’arte, e pure del marito (più giovane e bello e ben capace di trovare distrazioni altrove) con cui ha un rapporto di affetto profondo. I due non hanno mai consumato il matrimonio a causa della sifilide che lei ha avuto “in regalo” dal primo marito (come la Karen Blixen de La mia Africa, interpretata dalla Streep trenta anni fa).
Così egli la imbroglia, sì, nascondendo un’amante giovane e bella nel suo appartamento privato, ma poi per amore compra giornalisti perché recensiscano favorevolmente le sue esibizioni imbarazzanti e manda a casa quelli che non accettano di essere comprati; poi regala biglietti e infine asseconda addirittura il suo sogno di cantare nel tempio dell’opera, pur sapendo che potrebbe significare per lei la fine di un mondo di fantasia.
Infatti la salute precaria di Florence non reggerà al crollo dell’illusione, anche se il film dà conto del perdurare del suo strano “successo”: l’incapacità di vedere la realtà, forse, è parente della capacità di sognare e Frears la apparenta più all’immaginazione che alla menzogna. Bando quindi allo spirito critico, sembra suggerire: meglio cullarci nelle nostre illusioni se ci aiutano a vivere.

Una protagonista irresistibile, per simpatia e portafogli

La parola chiave è indulgenza, verso se stessi e gli altri, in un plot che non offre molto in termini di azione e sorprese: dal primo momento in cui sentiamo gli assurdi gorgheggi di Florence sappiamo che non ci sono possibilità di successo, non nel senso tradizionale del termine. La spudoratezza con cui la donna esibisce il suo corpo non proprio avvenente fasciato in improbabili costumi e il suo discutibile talento causano una imprevedibile ilarità, specie nel pubblico dei reduci di guerra cui la Foster Jenkins ha donato i biglietti.
Non sapremo mai dove inizia la simpatia e dove finisce la gratitudine del portafoglio, ma agli autori non interessa nemmeno tanto stabilirlo; dopotutto forse ci deve bastare il solito straordinario istrionismo della Streep. In fondo, non è per questo che abbiamo pagato il biglietto?

Laura Cotta Ramosino

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