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Grand Budapest Hotel


TITOLO ORIGINALE: Grand Budapest Hotel
REGISTA: Wes Anderson
SCENEGGIATORE: Wes Anderson
PAESE: Gran Bretagna/Germania
ANNO: 2014
DURATA: 100'
ATTORI: Ralph Fiennes, Tony Revolory, Tilda Swinton, Adrien Brody, F. Murray Abraham, Jeff Goldblum, Harvey Keitel, Willem Dafoe, Jude Law, Bill Murray, Edward Norton, Saoirse Ronan, Mathieu Amalric, Léa Seydoux, Jason Schwartzman, Tom Wilkinson, Owen Wilson
SCENE SENSIBILI: qualche scena di nudo e a contenuto sessuale, linguaggio a volte volgare, qualche pur breve immagine raccapricciante.
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Un immaginario paese della Mitteleuropa all’inizio del XX secolo. Il giovane immigrato Zero Moustafa viene assunto come lobby boy nel prestigioso Grand Budapest Hotel e preso sotto l’ala protettrice del mitico Mr. Gustave H., concierge impeccabile con un ascendente sulle clienti anziane. Quando una di queste, la ricchissima Madame D., muore in circostanze misteriose lasciandogli in eredità un prezioso quadro, si scatena una serie di eventi destinati a cambiare per sempre la vita di Mr. Gustave e del giovane Zero…

Un’avventura surreale e irresistibile

Ha aperto con il botto il sessantaquattresimo Festival di Berlino l’ultima fatica di Wes Anderson, che a Berlino era già passato con Le avventure acquatiche di Steve Zissou e per questo sontuoso ritorno raduna un infinito cast stellare, che include diversi dei suoi attori feticcio: Edward Norton (capo scout in Moonrise Kingdom e qui ufficiale di polizia dall’impeccabile educazione mitteleuropea), Bill  Murray e Owen Wilson in due memorabili camei.
Ispirandosi molto liberamente, più nelle atmosfere che negli specifici contenuti, ai racconti di Stefan Zweig, Wes Anderson costruisce una storia ilare quanto stralunata, mescolando con evidente godimento generi cinematografici, formati di ripresa (differenziati per ciascuno dei tempi in cui si svolge la storia, dalla doppia cornice a quello del racconto principale), ruoli ed elementi narrativi. Il risultato è un miracoloso equilibrio di toni, illuminato dalla solita cura maniacale che il regista dedica ad ambientazione e inquadrature, riuscendo a ricreare un mondo con una sua incredibile consistenza, ma sempre impercettibilmente “sfasato” rispetto al reale.

Una grande fuga a ritmo di commedia

 Siamo negli anni Trenta e Monsieur Gustave H., oltre che dirigere la vita dell’hotel secondo standard che farebbero ottima concorrenza alla servitù di Downton Abbey, intrattiene relazioni non solo professionali con le facoltose e anziane frequentatrici dell’albergo. La morte di una di loro, l’eredità inaspettata toccata al concierge (e da lui prontamente sottratta) scatenano le ire della famiglia della defunta, capeggiata da un perfidissimo rampollo, Dimitri (Adrien Brody), che spedisce sulle sue tracce l’assassino psicopatico Jopling (Willem Defoe).
Tra una fuga da una prigione di massima sicurezza (che fa il verso a tanti film sull’argomento, ma è gestita, ovviamente, con stile impeccabile), un assurdo scambio d’informazioni tra funivie in quota e un inseguimento in slittino dalla cima di una montagna, il giovane Zero fa a tempo a innamorarsi della bella pasticciera Agatha (Saoirse Ronan), che prepara dolci sublimi e all’occorrenza li usa anche per contrabbandare lime in prigione…

A completare il quadro un’invasione (in perfetto stile nazista) dell’immaginario Stato dei Sudeti dove si svolge la storia e un provvidenziale intervento della società segreta dei concierge… La trama prosegue su toni mirabolanti, cui si alternano momenti d’improvvisa meditazione e altri di surreale ilarità (come quando un colpo di pistola scatena una sparatoria alla messicana tra gli occupanti). Le ispirazioni del regista forse più cinefilo di Hollywood sono al solito infinite: da Vogliamo vivere di Lubitsch, a The Good Fairy di William Wyler, al cinema espressionista tedesco, per non parlare di Stanley Kubrick (dopo Shining, una citazione d’obbligo quando si ambienta una storia in un hotel…).

Sogni e illusioni al Budapest Hotel

Anderson gioca sistematicamente con le aspettative del pubblico, mescolando in un raffinato gioco di scatole cinesi una riflessione sul senso della narrativa e delle sue fonti, con una meditazione nostalgica su un passato innocente e perduto, senza dimenticare l’omaggio al cinema classico. Per una volta, però, non si potrà accusare Anderson di aver sacrificato la sostanza alla forma: tra le mille citazioni, il divertimento continuo dello scambio di ruoli e la calcolata amoralità di certe situazioni, emerge palpabile il senso profondo di lutto per un mondo tanto bello quanto vicino alla fine, una società che vive sull’orlo del tracollo, che le belle maniere possono tentare di tenere in piedi, ma che sarà presto vittima della violenza e dell’ideologia.

Un film dunque sulle apparenze e le illusioni, il bisogno di mantenerle e i sacrifici che impongono, sulla disillusione ma anche e nonostante tutto, sul valore del ricordo e il potere della narrazione.

Scegliere un film 2014

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