In quel confine situato tra la Bielorussia e la Polonia, chiamato Green Border, i rifugiati provenienti per lo più dalla Siria e dall’Africa non riescono a oltrepassarlo e ad entrare in Europa.
Green Border, il confine verde, esiste davvero. È tra la Bielorussia e la Polonia. Lì i soldati non conoscono che il loro compito, chiaro e senza concessioni: nessuno può oltrepassare quel confine. Non guardano in faccia chi arriva, non hanno alcuna pietà. Neanche delle persone anziane e malate o delle persone in evidente stato di gravidanza.
Anche se la Polonia è territorio europeo nessuno può entrarci. E i cittadini, soprattutto i contadini, sono chiamati a denunciare gli eventuali infiltrati che avvistano.
Green Border inizia con un viaggio aereo. Quello di una famiglia siriana che arriva in Turchia dopo alcune ore di volo. Li aspetta un pulmino che li porterà nel confine verso la Polonia.
Ma in realtà non è possibile oltrepassarlo: qualsiasi rifugiato senza permesso che viene trovato dai soldati polacchi viene condotto di nuovo al confine con la Bielorussia. E con poco cibo, acqua e le batterie scariche del cellulare la famiglia siriana, alla quale si è aggiunta una insegnante di inglese, è costretta a patire ogni tipo di difficoltà, quelle “naturali” come il freddo, il buio e quelle non naturali come le angherie fisiche e morali delle guardie.
È vero, ci sono gli attivisti, spesso volontari, che hanno coraggio e buona volontà, ma è anche vero che il potere dei buoni non è destinato sempre a trovare collaboratori e a vincere.
Leone d’argento al Festival di Venezia edizione 2024, Green Border è girato dalla regista Agnieszka Holland. Non amata dal governo polacco, che ha tacciato Green Border di falsificazione della realtà, la regista ha in Polonia i suoi sostenitori che hanno creato, per protesta contro i detrattori del film, una maglietta dal titolo Agnieszka Polland.
“A mio avviso – ha dichiarato la regista al Festival di Venezia – non ha alcun senso impegnarsi nell’arte se non si lotta per quelle voci, se non si lotta per porre domande su questioni importanti, dolorose, a volte irrisolvibili, che ci mettono di fronte a scelte drammatiche. Questa è esattamente la situazione in atto al confine tra Polonia e Bielorussia”.
Green Border è un film di finzione, girato in bianco e nero, ma è un film che parla del reale. Una scelta voluta dalla regista, nota nel cinema per la sua capacità di cercare e di mettere in scena storie vere sin da quando ha iniziato la carriera nel 1978 con la pellicola Attori di provincia.
I protagonisti sono personaggi inventati, ma in realtà sono ispirati a persone vere, che esistono e che hanno subito queste umiliazioni. Profughi e attivisti: alcuni ce l’hanno fatta e possono raccontarlo, altri non ci sono riusciti e sono morti in mezzo alla foresta o finiti in carcere.
Ad esempio c’è Jalal Altawil, che interpreta il padre nella famiglia siriana, ha realmente vissuto in un campo profughi europeo, mentre Maja Ostaszewska, che interpreta una volontaria che si associa al Gruppo Granica (associazione reale) e che cerca i profughi nascosti nei boschi, è una star in Polonia ed è anche una nota attivista.
Non si può rimanere indifferenti di fronte a Green Border che manifesta il desiderio di osservare la realtà, ma non di subirla e rimanere indifferenti. Ma soprattutto manifesta quanto sia importante, oggi più che mai, vivere respingendo l’indifferenza per realizzare concretamente un bene non solo personale ma collettivo.
Emanuela Genovese
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