Una serie di riquadri appare sullo schermo. Il loro alternarsi giunge a comporre un’immagine: è l’interno di un salotto. Una sola inquadratura, che non cambia mai posizione: immobile, ci racconta delle diverse famiglie che hanno abitato quella dimora nel corso dei decenni. Il viavai temporale narra ora il presente, ora l’arrivo dei coloni americani – quando l’abitazione ancora non esisteva e il suo terreno era calpestato da persone a passeggio –, ora l’epoca in cui il salotto era una radura attraversata dai nativi. Un breve antefatto retrocede fino alla preistoria: pochi metri quadrati, ma antichi come il mondo. Al cuore del mosaico, la vita di Richard e Margaret: il loro è solo un tassello dell’immenso flusso della storia d’America e del cosmo intero.
Ad esprimere il contenuto di Here («qui») non è innanzitutto la sua trama, ma la macchina da presa: la sua staticità non potrebbe essere più eloquente nel mostrare quanta storia può esser custodita in un infinitesimale punto dello spazio. Il film si distingue per l’ardito esperimento di messinscena, prima ancora che per gli eventi narrati. Del resto, la quotidianità di un salotto non può che essere, salvo eccezioni, lo scenario di una normale vita in famiglia. E tuttavia, l’arco di vita di Richard e Margaret – scandito da figli in arrivo, compleanni, l’inizio di un lavoro nuovo, ordinarie liti o grigie ore trascorse ad accudire un anziano genitore – viene esaltato tanto nelle occasioni celebrative, quanto in episodi a prima vista dimenticabili. L’occhio attento e imperturbato di Here svela come, a ben guardare, nulla di quanto accade tra divano e camino sia mai banale davvero.
Soprattutto se lo si paragona all’esperienza dell’umanità d’ogni epoca: molte le differenze tra le generazioni di inquilini, ma altrettante le somiglianze. Difatti, se il «qui» può risultare tanto significativo, non è in quanto mera collocazione nello spazio: «qui» significa in realtà «qui con te». Here non è soltanto un luogo fisico: è un territorio interiore, dove a lasciar traccia sono le relazioni. Come quelle familiari, la profondità della cui impronta, nel bene o nel male, è ineluttabile.
Gioia e dolore ricevono dunque equa attenzione. Quanto al secondo, il racconto è attratto, in particolare, dai sogni infranti: che sia per malaugurata evenienza o per trascuratezza personale, tra le principali esperienze intergenerazionali che Here evidenzia c’è quella di chi ha mancato all’appuntamento con sé stesso, di chi ha coltivato una parte di sé a dispetto di altre, talvolta come sacrificio in nome della famiglia. Nel film, la storia umana è costellata di tali (veri o presunti) fallimenti. Una dimenticanza di sé che si esprime in un ricorrente, universale, modello di comportamento: il risentimento nei confronti del «qui». Quando qualcuno detesta il proprio «qui», la circostanza in cui vive, significa – suggerisce Here – che non sta dando corso alla propria realizzazione: si sente esule nel mondo, perché esule da sé stesso.
Una ragione in più per dedicare al «qui» un intero film: al «qui» non manca nulla. Semmai, a mancare sono le persone. Nel salotto di Here, le esistenze svoltesi diversamente da quanto sperato non si contano: eppure, nulla sembra andare perduto. A chi impara a guardare, nulla apparirà sprecato. Al principio o al termine della propria vita, non è mai troppo tardi per riconoscere al «qui» la sua insostituibile grandezza.
Per ricomporre l’intero puzzle, per apprezzarne tutte le corrispondenze interne e i parallelismi, occorrerebbero più visioni. Non ultimo per assicurarsi che certi segmenti non siano in realtà frammenti sparsi, come possono legittimamente sembrare. Ad essere invece chiaro è che lo scopo di Here non è quello di esaurire nel «qui» l’orizzonte del tragitto umano, il destino personale, men che meno nel «qui» di un salotto. Si tratta di illustrare come, per la singola persona, l’a-tu-per-tu col cosmo si concretizzi in frangenti spazio-temporali assolutamente specifici, nella sottigliezza dei quali è in gioco l’intera sua esistenza.
In fin dei conti, il messaggio di Here sembra proprio questo: dovunque ti trovi e dovunque tu sia destinato ad andare, quali che siano le tue conquiste o i tuoi rimpianti, la tua soddisfazione o il tuo malumore, per te sarà sempre possibile iniziare una vita nuova. Oggi. Qui.
Marco Maderna
Tag: 4 stelle, Drammatico