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I Magnifici 7


TITOLO ORIGINALE: The Magnificent Seven
REGISTA: Antoine Fuqua
SCENEGGIATORE: Nic Pizzolatto e Richard Wenk (ispirata al film I sette samurai di Akira Kurosawa)
PAESE: Usa
ANNO: 2016
DURATA: 132'
ATTORI: Denzel Washington, Chris Pratt, Ethan Hawke, Vincent D'Onofrio, Lee Byung-Hun, Martin Sensmeier, Haley Bennett, Peter Sarsgaard
SCENE SENSIBILI: scene di uccisioni violente.
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La tranquillità degli abitanti di Rose Creek è messa in pericolo dalla cattiveria di Bartholomew Bogue, un prepotente cercatore d’oro. La città viene assoggettata al suo volere e gli uomini costretti ad abbandonare i campi da lavoro. Una rivolta cittadina culmina in sangue innocente ed Emma Cullen, una coraggiosa e giovane donna, vedova per mano di Bogue, decide di cercare giustizia per sé e per gli abitanti di Rose Creek. Assolda, così, Sam Chisolm, che accetta la “guerra” contro il Cattivo non solo per soldi, ma anche per una misteriosa ragione personale. È così che Chisolm cerca – e trova – altri combattenti. I sette uomini arrivano a Rose Creek e definiscono da subito con gli scagnozzi di Bogue le regole del gioco. Una lunga ed estenuante battaglia, che coinvolge anche gli abitanti della città, libera Rose Creek dagli usurpatori ma il prezzo da pagare sarà per tutti, compresi i sette guerrieri, molto caro.

Una seconda vita per il classico di Kurosawa

Alle origini ci fu I sette samurai (1954) di Akira Kurosawa. Poi seguì I magnifici sette (1960) un western “maturo” con cui John Sturges rivisitò in chiave e stilemi americani la storia che fu del regista nipponico. Ora, a distanza di sei decenni, Antoine Fuqua riporta sul grande schermo il classico western, attualizzandone linguaggio e connotati narrativi.
Il risultato è buono e godibile, dedicato a un pubblico non di bambini per le molte morti, anche violente, che costellano il film.

Vendetta, Destino e Giustizia

Il merito degli autori, in un’epoca cinematografica fatta di supereroi, fumetti, saghe fantasy e fantascienza, è di far rivivere sullo schermo il sapore del cinema “di una volta” e la netta dualità tra Bene e Male. Non ci sono zone d’ombra né finali aperti. Solo un lungo duello e una posta in palio molto alta.
Buoni contro Cattivi. Non importa da quale passato doloroso stiano scappando i Buoni. L’importante è che siano tutti uniti verso un unico obiettivo, pur nella loro specifica diversità. A radunarsi, infatti, è un gruppo multietnico di combattenti: Sam Chisolm, il capo dei magnifici sette, è di colore. Faraday è irlandese, Billy Rocks ha gli occhi a mandorla, Vasquez è messicano, Red è indiano. Goodnight, detto Goody, è un cecchino “violentato” dalla guerra che non riesce più a premere il grilletto. Jack è un omone grande e grosso invasato di misticismo.
Si tratta di mercenari disposti a morire per una giusta causa e – almeno alcuni di loro – per cercare l’ultimo anello di una lunga e pesante catena personale fatta di fantasmi. Per alcuni è vendetta, per altri è destino, per altri ancora è giustizia. Per qualcuno, invece, è semplicemente il luogo giusto in cui essere, in assenza di una casa e di affetti da cui tornare.
Quel che importa è che questi stranieri che arrivano e liberano Rose Creek riescano a ristabilire il giusto ordine delle cose e a ridare legittimità ai rituali che questa landa ricca d’oro riserva ai propri abitanti: uomini disarmati che coltivano la terra; donne e bambini che aspettano a casa i propri mariti e padri; un Dio che svetta nella chiesa in fondo alla via, luogo di preghiera, vero e sentito punto di riferimento per una popolazione che ha poche regole e le rispetta in nome dei valori in cui crede, ma anche per diversi dei nostri “sette”.

Un ritorno al cinema classico

Esiste un codice d’onore non scritto. Questo avviene sia a livello narrativo, dunque dentro la storia, che a livello strutturale e di linguaggio: si pensi al modo in cui Fuqua presenta ciascun guerriero. L’attenzione ai particolari, alla gestualità, ai riti che li connotano, ai dialoghi, scarni ma netti. Tutto questo è un “modo” classico di fare cinema, rassicurante anche nelle scene e nelle inquadrature, che parlano senza dubbio il linguaggio pulito e antico del genere western.

Maria Luisa Bellucci

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