Mosca, anni ’30. Il Maestro, autore di una pièce teatrale su Ponzio Pilato censurata dal Regime, inizia a scrivere un romanzo incoraggiato da Margherita, una donna infelice e sposata che diventa la sua amante. A causa del contenuto della sua opera viene rinchiuso in un ospedale psichiatrico dove continua a scrivere. Nel frattempo, un misterioso esperto di magia, Woland, accompagnato da un gatto con comportamenti umani e da loschi figuri, semina il caos negli ambienti intellettuali di Mosca.
Per quanto grandi registi come Fellini, Luhrmann, Gilliam abbiano accarezzato l’idea di adattare per il grande schermo il classico di Michail Bulgakov, nessun adattamento del romanzo ha mai raggiunto, fino ad oggi, un netto successo internazionale. La difficoltà è innanzitutto strutturale: nel libro si intrecciano tematiche differenti come la difesa della libertà creativa, la potenza salvifica dell’amore, una riflessione filosofica sulla verità, e i piani narrativi vorticano in un turbine complesso in cui la linea del tempo e il rapporto realtà/finzione vengono continuamente sfidati.
Per Il Maestro e Margherita di Lokšin, alle difficoltà di adattamento si aggiungono le insidie del periodo storico. All’uscita nelle sale russe, il film ha ricevuto l’apprezzamento del pubblico, registrando un box office imponente, ma anche le pressanti critiche di ambienti vicini al governo, che hanno definito il film “antipatriottico” accusando l’indebito utilizzo di fondi pubblici per l’opera. La versione in seguito trasmessa dalla televisione nazionale ha infatti presentato il taglio di scene considerate “politiche”.
La scelta di restituire l’aspetto satirico del romanzo, che ridicolizza la censura sovietica con cui Bulgakov si è trovato a combattere, è sicuramente stata coraggiosa ma anche, dal punto di vista narrativo, inevitabile, considerando che la libertà (e la libertà creativa in particolare) costituisce il principio tematico più potente del libro. Nel presentare l’uscita italiana, il regista, intervistato, ha spiegato il grande successo al botteghino russo con la carica libertaria del film, definita come “acqua fresca” per il panorama dei media russi, asfissiati dalla propaganda. Sicuramente il conflitto tra l’individuo, con il suo desiderio di amare e creare, e il Leviatano del potere è centrale in ogni scena del film. Anche nella linea romantica di Margherita e in quella fantastica dell’apparizione per le vie di Mosca del demonio Woland si può rintracciare una scintilla liberatoria: il desiderio di rompere un ordine totalitario e asfissiante. Va riconosciuta all’adattamento la capacità di utilizzare il pathos della libertà come principio di coesione rispetto a un materiale narrativo spesso frammentario.
L’adattamento di Lokšin non si può dire fedele, per quanto questo aggettivo abbia poco senso negli studi dell’adattamento in generale e nel caso specifico di questo romanzo “impossibile”. Le scelte che si discostano dal romanzo sono spesso intraprese per rendere più fruibile una trama articolata su più piani temporali e diversi punti di vista. Il film, aprendo con un’accattivante scena di genere fantastico che ne marca subito la componente spettacolare, sceglie poi di seguire il punto di vista del Maestro, depositario delle diverse linee narrative. Il netto protagonismo dello scrittore (con l’interpretazione ricca di nuance di Evgenij Cīgardovič) aiuta lo spettatore a destreggiarsi tra i piani narrativi, seguendo il suo duplice viaggio interiore di intellettuale censurato e di innamorato. Nella sua vicenda il tema della libertà creativa e della salvezza che l’amore, scagliato contro il Potere, può procurare, trovano corpo e unità. Ma c’è un altro personaggio scelto per garantire un dialogo che attraversi i molti piani della narrazione: il demoniaco Woland, interpretato da un satiresco August Diehl, oltre a costituire la forza caotica che genera l’azione, incarna nel film (a differenza del libro) l’interlocutore attraverso cui si disvela il mondo interiore del Maestro.
La figura di Woland, accompagnato dai suoi bizzarri servitori, è centrale nel film, che cita per descriverla più volte il brano di Goethe: “la forza che vuole costantemente il male e compie eternamente il bene”, lasciando un accattivante alone di filosofico mistero che forse poteva essere approfondito, piuttosto che abilmente cavalcato.
Queste due polarità caratteriali, il Maestro e Woland, permettono di tenere sotto controllo il caos centrifugo, a cui talvolta il film si concede in alcune scorribande, forse eccessivamente lunghe e particolareggiate, come il ballo di Satana di ascendenza goethiana, in cui le figure create dal grottesco immaginario di Bulgakov emergono dal buio come in un quadro di Bosch. Il mondo fantastico dell’autore viene reso, con una scelta che decreta l’appeal commerciale del film, attraverso una cifra estetica cupa e gotica che, se da un lato ammicca al genere e perde un po’ dell’originale freschezza del libro, dall’altro è carica di una potenza immaginifica semplice e immediata.
In definitiva, per quanto le profondità tematiche del film e la sua potenza visionaria risultino semplificate, il film riesce a strappare qualche scintilla ardente dal genio di Bulgakov, restituendo e traducendo in immagini concetti universali come l’immortalità della letteratura (“i romanzi non possono bruciare”) e la carica esplosiva della fantasia contro il grigio conformismo del Potere.
Eleonora Recalcati
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