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La forma della voce


TITOLO ORIGINALE: Koe no katachi
REGISTA: Yamada Naoko
SCENEGGIATORE: Yoshida Reiko
PAESE: Giappone
ANNO: 2016
DURATA: 130'
ATTORI: con le voci italiane di Federico Campaiola, Giulio Bartolomei, Roisin Nicosia
SCENE SENSIBILI: linguaggio occasionalmente scurrile, scene drammatiche e di bullismo, una scena di tentato suicidio
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La vita di Ishida, un bulletto di undici anni, è destinata a cambiare quando nella sua classe arriva Nashimiya, una ragazzina sorda. Incuriosito dall’handicap di Nashimiya, Ishida inizia a prenderla di mira con i suoi dispetti. Ma quando la situazione gli sfugge di mano e Nashimiya è costretta a lasciare la scuola, Ishida finisce per isolarsi sempre più…

Un coraggioso teen-drama su bullismo e disabilità

Adattamento cinematografico del manga A Silent Voice, vincitore di numerosi premi, La forma della voce è un film d’animazione toccante e coraggioso, che usa la formula del teen drama per affrontare temi impegnativi come il bullismo e la disabilità. La trama ruota attorno al rapporto tra l’irrequieto Ishida e la dolce Nashimiya, due ragazzi che, nonostante le differenze, cercano di diventare amici e aiutarsi a vicenda.
Se in Occidente ‘cartone animato’ è spesso sinonimo di ‘prodotto per bambini’, in Giappone quello degli anime per i teenager è un mercato florido, esperto nell’intercettare i gusti del pubblico, e capace, almeno nelle sue prove più riuscite, di tratteggiare le ansie, i timori e i desideri di una generazione, con una sensibilità che gli permette di varcare i confini nazionali. Lo ha dimostrato lo scorso anno il successo planetario di Your Name, fantasy sentimentale firmato da Shinkai Makoto, e lo conferma la buona accoglienza di questa pellicola, che racconta una bella storia di crescita—quella di un ex teppista e di una ragazzina non udente, ma anche dei loro nuovi compagni—e, nel farlo, riflette sulle barriere, fisiche e psicologiche, che impediscono ai giovani di comunicare. Il tutto supportato da un variegato cast di personaggi, tanti e tutti ben caratterizzati, animazioni fluide e una grafica gradevolissima, che si adatta perfettamente allo stile delicato di Yamada Naoko, una delle rare donne giapponesi a essersi affermate nel campo della regia.

Un amicizia impossibile per guardare il futuro

Il film, che sposa il punto di vista di Ishida, si articola in due parti. Nella prima, Ishida è un bambino un po’ troppo vivace, che fa il prepotente con Nashimiya perché aizzato dal resto della classe. Nella seconda, ambientata al liceo, è lui l’emarginato, e la vergogna per ciò che ha fatto lo porta a meditare il suicidio. A fare da cerniera tra il primo e il secondo tempo, innescando l’arco di trasformazione dei due ragazzi, è il quaderno su cui Nashimiya scriveva alle elementari, e che Ishida anni dopo le riporta per riparare ai suoi errori. Mentre i protagonisti di Your Name si cercano senza essersi mai incontrati, uniti dai loro smartphone e dal ricordo di un sogno, Ishida e Nashimiya imparano a conoscersi grazie al linguaggio dei segni, scoprendo che la voce può avere varie ‘forme’, ma l’unico modo per comprenderla è aprirsi all’altro e ascoltare. Così, quella che sembrava un’amicizia impossibile si fa, al contrario, reale e sincera, in grado di abbattere qualsiasi ostacolo (la difficoltà ad accettarsi, il senso di colpa, la tentazione di mollare tutto) e di guardare al futuro.

Un racconto di formazione coinvolgente e senza pietismi

Le lacrime non mancano in questa lunga (per i parametri italiani) trasposizione animata, che fa del suo meglio per comprimere i sette volumi del fumetto originale, ma non sempre ci riesce in modo chiaro e convincente. In particolare, è evidente un’asimmetria tra il realismo della prima parte, scritta benissimo e con una ricchezza di dettagli davvero ammirevole, in cui si percepisce l’amore della regista per le piccole cose quotidiane (la presentazione dei protagonisti nei titoli di testa, osservati in vari momenti della loro giornata, è emblematica di questo stile ‘in punta di piedi’), e i ritmi più sincopati della seconda, che in alcune scene mette a dura prova l’incredulità dello spettatore (il salvataggio di Nashimiya) e vira bruscamente verso il finale, puntando tutto su un’emotività struggente e dolorosa. L’impressione è che il materiale di partenza fosse troppo per un solo film, cui forse avrebbe giovato, data la freschezza della narrazione, una dose inferiore di drammi ed ellissi temporali.
Al netto di qualche difetto, La forma della voce resta un’opera complessivamente ben congegnata, che alla gradevolezza della resa visiva somma un racconto di formazione coinvolgente, capace di parlare di handicap e bullismo giovanile senza pietismi, e di insegnare agli adolescenti valori importanti, come la fiducia negli altri e il rispetto per la vita.

Maria Chiara Oltolini

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