Il racconto cinematografico inizia nel 1975, narrando di un gruppo di studenti delle ultime classi del Liceo San Leone Magno (nel film però la scuola ha un nome diverso) per poi finire con il rapimento delle due povere ragazze, crudelmente seviziate, vittime di quella che rimarrà nella memoria collettiva di fine secolo come “il massacro del Circeo”: Rosaria Lopez morì mentre Donatella Colasanti riuscì per circostanze molto fortunate a sopravvivere, attirando l’attenzione di un metronotte, quando – mentre i rapitori pensavano che fosse morta – giaceva nel bagagliaio dell’auto di uno dei suoi aguzzini in una via del quartiere Trieste di Roma.
Presentato alla Mostra del cinema di Venezia 2021, La scuola cattolica di Stefano Mordini, è poi quasi subito uscito nelle sale italiane, distribuito da Warner Italia, con un incasso mediocre di circa 1,6 milioni di euro, e ora si trova su diverse piattaforme. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati, un amplissimo memoir di più di mille pagine, con cui lo scrittore romano ha vinto qualche anno fa il Premio Strega.
Il film ha una buona fattura tecnica, la messa in scena dell’epoca è visivamente accurata, e si distingue la bravura della giovane Benedetta Porcaroli. Ma la narrazione lascia più di una perplessità – anche per la messa in scena pesante e assai poco delicata, di alcuni momenti di questo delitto, con sequenze che hanno infastidito e infastidiranno non poca parte del potenziale pubblico – ma soprattutto perché appare un film a tesi.
All’uscita nelle sale c’è stata polemica per la classificazione di vietato ai minori di 18 anni, che avrebbe limitato la visibilità televisiva (e quindi i rientri economici) del film. Ovviamente la Warner ha gridato alla censura, ma l’operazione di Mordini è davvero discutibile, anche per i rischi assai concreti di indurre imitazione in qualche spettatore con poco equilibrio e predisposto alla violenza a causa di una messa in scena che avrebbe potuto essere molto più ellittica, anche per rispetto alle vittime: la storia purtroppo riporta molti casi (si veda per esempio il bel libro di un giornalista del Corriere della Sera, Luca Mastrantonio, Emulazioni pericolose). Alla fine, forse con qualche piccolo taglio rispetto alla versione iniziale, è stata ripristinata la classificazione di vietato ai minori di 14 anni.
Il romanzo sarà stato sicuramente assai più complesso e articolato, ma lo stesso titolo prestato dall’opera letteraria al film rischia di portare purtroppo molti spettatori a fare (come hanno fatto molti recensori) un’equazione non solo iper-semplificatoria, ma falsa: è l’educazione repressiva e sessuofoba della scuola, e in generale dell’educazione cattolica, che ha portato al massacro. La scrittura del film – Massimo Gaudioso e Luca Infascelli oltre al regista – ha realizzato un’operazione di elaborazione ideologica a cui è difficile assegnare il beneficio della buona fede. Per esempio non si fa neanche un cenno all’influenza, che fu esplicita e fortissima, dell’ideologia fascista su quei giovani. Dei docenti della scuola un solo religioso ha un ruolo significativo: guarda caso due ragazzi lo scoprono alla sera mentre carica in macchina una prostituta; l’unica famiglia che compare con un padre sinceramente credente ha una figlia repressa sessualmente che si masturba e alla prima occasione si butta a fare sesso con uno dei ragazzi più grandi della scuola; il direttore della scuola non prende provvedimenti disciplinari nei confronti di un ragazzo perché il padre accenna a possibili donativi economici, e così via…
Quegli anni erano anni di scontri ideologici fortissimi: anche nelle scuole cattoliche c’era qualcuno che magari si lasciava incantare dall’ideologia neofascista, ma l’indirizzo educativo di queste scuole – chi scrive lo dice per esperienza personale diretta, proprio della Roma di quegli anni – era totalmente opposto: attenzione alle cose importanti della vita e a una religiosità sincera e non formalista, alla sensibilità sociale e per i poveri, addirittura (erano gli anni ’70!!) all’ecologia e a una giusta parità di genere.
Per questo e per molti altri motivi la narrazione di quella società e di quel periodo è nel film fortemente carente, e allo spettatore rischia di rimanere solo quella sbagliata equazione suggerita dal titolo.
Armando Fumagalli
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