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Lightyear – La vera storia di Buzz


TITOLO ORIGINALE: Lightyear
REGISTA: Angus MacLane
SCENEGGIATORE: Jason Headley e Angus MacLane
PAESE: USA
ANNO: 2022
DURATA: 105'
ATTORI: con le voci italiane di Alberto Boubakar Malanchino, Ludovico Tersigni, Michele Gammino, Esther Elisha, Rossa Caputo; in originale Chris Evans, Peter Sohn, James Brolin, Uzo Aduba, Keke Palmer
SCENE SENSIBILI: nessuna
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Anno 3901, lo space ranger Buzz Lightyear e l’ufficiale in comando Alisha Hawthorne esplorano il pianeta Tikana Prime. Quando le forme di vita indigene si dimostrano aggressive, tentano la fuga, ma purtroppo Buzz danneggia la nave rendendo impossibile il viaggio interstellare. L’intera ciurma è costretta a fare accampamento, e un anno dopo Buzz è pronto a tornare nello spazio per testare i nuovi propellenti interstellari e riparare al suo errore. Ma per quattro minuti che Buzz viaggia nello spazio, sul pianeta trascorrono quattro anni. Test dopo test, Buzz impiega 84 anni per trovare la giusta miscela. Ma nel frattempo una minaccia aliena di robot attacca il pianeta; e gli unici che possano aiutare Buzz sono un’improbabile squadra di reclute pasticcione…

Chiedetelo a IMDb

Lightyear è chiaramente un fallimento. Costato 200 milioni ne ha incassati al momento appena 150 a livello mondiale. Su Metacritic lo valutano con una media di 60 su 100, e gli utenti con un drastico 4,1 su 10. Ma di più, su IMDb – dove la valutazione è piazzata su 5,3 – le recensioni sono molto chiare: non sono delusi solo i fan, sono delusi soprattutto i genitori.
E non ci si riferisce al fatidico “bacio omosessuale” di cui si è tanto discusso su Twitter. E su questo spendiamo giusto un paragrafo…
Il bacio è quanto di più innocuo: quello su cui il film si concentra davvero è il tema della famiglia gay. Alisha si sposa con una donna e poco dopo rimane pure incinta – lasciando presumere una fecondazione assistita da un qualche “donatore” – e dopo i figli seguiranno i nipoti. In meno di dieci minuti questo quadrettino famigliare fa tutta una serie di punti sulla cartellina woke, quasi fosse una partita di bingo; per esempio gli autori si sono preoccupati che le due donne fossero entrambe di minoranze razziali. Ma la storia è puramente espositiva, senza alcun risvolto sostanziale sul racconto.
Quello che si vuole sottolineare qui non è tanto che sia illustrata una storia gay. Quanto il fatto che, se non di questo, non c’è molto altro di cui parlare del film!
La storia fatica a partire, lo sviluppo non ha senso, l’azione è noiosa, i cattivi sono risibili e di più gli eroi. Quello che i genitori hanno lamentato è che i loro figli sono rimasti delusi! … se non si sono addirittura addormentati in sala.

Quando il personaggio migliore è il gatto

Il punto più debole è proprio Buzz. Non aiuta il doppiaggio di Malanchino, che sa rendere un personaggio detestabile anche più pedante. Buzz non è l’eroe che abbiamo conosciuto in Toy Story; assurdo forse, presuntuoso, agile e battagliero… ma dov’è finito il suo idealismo, il sacrificio per il sommo bene, il rispetto dei suoi pari? Questo Buzz è vanaglorioso, a tratti cafone. Parla con il “comando base” per il rapporto missione, ma scopriamo presto che in realtà si fa la telecronaca da solo. A chi risponde? Per cosa combatte eccetto che per il suo ego?
Peggio ancora gli altri personaggi; sebbene più innocui, è solo perché sono bidimensionali. Non rimane che versare tutto il nostro interesse nel gatto meccanico Sox, unica valvola di sfogo con qualche battuta divertente.

Retorica, cara vecchia retorica

Il problema, in fondo, è sempre lo stesso: la retorica non fa buone storie. Retorica e significato non sono sinonimi! E questo gli autori sembrano non comprenderlo. Il film scade ripetutamente nel patetismo, in frasi che vogliono essere a effetto e invece mettono solo a rischio il tasso glicemico. Vince il buonismo sul buon senso.
Fa soffrire vedere la Pixar cadere così in basso. Come sta accadendo di recente alla Marvel e da alcuni anni alla LucasFilm, anche la casa fondata da John Lasseter ormai è ricattata dalle spinte commerciali da una parte e dalle pressioni ideologiche Lgbt dall’altra. È stato criticato più volte il vecchio Walt per i contenuti dei suoi cartoni; ma almeno lui sapeva come si raccontava una storia.

Alberto Bordin

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