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Loro 1 – Loro 2


TITOLO ORIGINALE: Loro 1 - Loro 2
REGISTA: Paolo Sorrentino
SCENEGGIATORE: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
PAESE: Italia, Francia
ANNO: 2018
DURATA: 104'+100'
ATTORI: Toni Servillo, Elena Sofia Ricci, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak.
SCENE SENSIBILI: diverse scene di nudo e di atti sessuali, continui riferimenti al sesso, ripetuta assunzione di droghe.
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Sergio Morra, faccendiere tarantino, affitta una villa in Sardegna vicino alla residenza estiva di Berlusconi per raggiungerlo attraverso le escort che gestisce. Il politico intanto sta attraversando un periodo di crisi dopo la perdita delle elezioni e la pubblicazione di compromettenti intercettazioni. Nella residenza in Sardegna Berlusconi cerca di recuperare il potere e, con meno impegno, il suo matrimonio con Veronica.

Il deus ex machina Berlusconi secondo Sorrentino

Dopo Il Caimano di Moretti, un altro vate del cinema italiano si cimenta con il ritratto di Silvio Berlusconi, impresa sempre insidiosa per la vicinanza temporale alle vicende trattate che spesso ne impedisce una visione d’insieme che si emancipi dall’immanenza. Sorrentino sceglie però un taglio squisitamente personale e, senza ambire a sviscerare le conseguenze dell’era berlusconiana sul tessuto sociale del Paese, risucchia il suo personaggio nell’immaginario sorrentiniano rendendolo una maschera che ben incarna la sua cifra estetica.
Del tutto incomprensibile, almeno in un’ottica drammaturgica, risulta invece la scelta di dividere il film in due parti asimmetriche e squilibrate, la prima della quali dedicata a un personaggio secondario di scarso interesse, Morra (Riccardo Scamarcio), assorbito dal mediocre sogno di arrivare al deus ex machina Berlusconi e sedere insieme a Loro (coloro che contano) su un Olimpo di squallida opulenza.

Un film autoreferenziale e di sgargiante volgarità

Nei primi 50 minuti di Loro 1 ciò che passa sullo schermo è la rappresentazione di una civiltà dell’apparenza già largamente fotografata dieci anni fa dal documentario Videocracy di Gandini. L’unica novità di questa lunga intro (per altro volutamente appiattita da regia e fotografia su un registro trash e patinato) risiede nell’abile presentazione in absentia di Berlusconi, adombrato da scenografici indizi e inafferrabile come una divinità pagana.
In questa prima parte persino le involate surreali di Sorrentino, al solito innescate da evanescenti comparse di animali, suonano autoreferenziali e ai limiti del parodistico, incapaci di sollevarsi da un’immanenza fatta di sgargiante volgarità.

Non uomo, ma eterna messinscena

Quando finalmente il protagonista entra in scena, il film comincia davvero, e conferma il quadro seminato: Berlusconi è sin da subito un’entità che trascende l’umano, una forza della natura.
Impermeabile a qualsiasi psicologia e incapace di essere ferito dal prossimo, non possiede nessun contatto con la sua interiorità, senza per questo presentare una personalità scissa è disturbata: semplicemente egli non sembra essere un uomo, ma un’eterna messinscena, come gli rinfaccia la moglie Veronica (Elena Sofia Ricci, perfettamente algida come prescrive la parte della radical-chic) in una vibrante scena coniugale.
L’interpretazione di Servillo lavora in questa direzione, napoletanizzando Berlusconi in una commedia dell’arte e privandolo della sua biografia umana, del legame con l’humus milanese e brianzolo.
In questo senso il Berlusconi di Sorrentino non è un personaggio ma una maschera di pura vita, monolitico e coincidente con se stesso. Una scelta drammaturgica netta in direzione della farsa che, a tratti affascinante, penalizza però l’elemento drammatico, pur presente in Loro 2 nello spaesamento del protagonista che rischia, come tutti, di essere superato dai tempi che corrono, destinando il suo corpo e il mondo che conosce allo sfaldamento. Al contrario, la cifra farsesca fa dirompere la vis comica e dà vita a situazioni finemente costruite, grottesche e nere come uno sketch dei Monthy Python.

Non solo disperata derisione

Come ne La grande bellezza e in Youth, Sorrentino non osa consegnarsi del tutto alla disperata derisione e, in chiusura, riprende i toni del dramma, lasciando la maschera di Berlusconi per aprire al collettivo dell’umanità vera. Il regista sceglie così una citazione dei primi istanti de La Dolce Vita felliniana per chiudere il film: il Cristo Redentore sollevato su Roma diventa però un Cristo della Pietà adagiato sulle macerie del terremoto. E non si può negare che una sfumatura di pietas, pur se inquinata dalla celebrazione affascinata di un patetico vitalismo, si annidi nelle pieghe del film e del suo punto di vista su un uomo che non si è permesso di vivere come tale.

Eleonora Recalcati

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