SCEGLIERE UN FILM

Maps to the Stars


TITOLO ORIGINALE: Maps to the stars
REGISTA: David Cronenberg
SCENEGGIATORE: Bruce Wagner
PAESE: Canada/USA
ANNO: 2014
DURATA: 111'
ATTORI: Julianne Moore, Mia Wasikowska, John Cusack, Sarah Gadon, Robert Pattinson, Olivia Williams
SCENE SENSIBILI: scene di cruda violenza e autolesionismo, un’orgia, alcuni nudi.
1 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 5

Benjamin è la giovanissima star di una serie televisiva che, vittima dell’ambiente hollywoodiano, deve disintossicarsi dall’abuso di stupefacenti per mantenere la sua posizione. In seguito alla fuga dall’ospedale psichiatrico, arriva a Los Angeles sua sorella Agatha, schizofrenica ustionata da un incendio appiccato anni prima. La famiglia vorrebbe tenerla lontana per tutelare la carriera di Benjamin e del padre, terapeuta e guru delle star di Hollywood ma Agatha trova lavoro come assistente di Havana, attrice ormai in declino che vorrebbe la parte di sua madre, star da oscar, in un film biografico. I tre destini sono legati da oscuri traumi del passato e sembrano procedere su binari paralleli.

Cronenberg verso la deriva hollywoodiana

Il cinema di Cronenberg, estremo e in fuga da ogni senso comune, si è spesso dedicato, almeno fino a qualche anno fa, alle deformazioni contemporanee del rapporto fra l’uomo e la sua corporalità, sino al patologico. Nelle immagini crude, a volte quasi insostenibili, di martirii corporali il regista ha celato una spietata critica sociale e un’indagine inedita sui cambiamenti epocali in corso.

Martin Scorsese, nel definirlo il regista per eccellenza del Ventunesimo secolo, sostiene che “Cronenberg è qualcosa su cui, sfortunatamente, non abbiamo il controllo, nel senso che non abbiamo il controllo sulla nostra auto-distruzione”.  In seguito Cronenberg ha indirizzato la stessa lente cruda e nichilista ai meccanismi comunitari, con History of Violence e La promessa dell’assassino, sempre mantenendo un’autenticità stilistica.

A partire da A Dangerous Methods, però, con l’approcciarsi a temi più esplicitamente psicoanalitici e intimisti, il genio di Cronenberg sembra aver perso lucidità e vividezza.

Di questa parabola discendente Maps to the Stars sembra toccare il punto più basso: la scelta di un mondo di nicchia, come la comunità hollywoodiana, e di un tema marginale, come l’incesto, allontana il film dall’interesse generale e da quello slancio all’universalità che contraddistingue il grande cinema. Allo stesso modo l’univocità nel raccontare personaggi irreversibilmente folli vanifica la pur presente critica alla società dell’immagine e del “tutto è possibile, tutto concesso”. Risulta difficile orientarsi nella frammentazione di punti di vista, tutti parimenti disturbati, e faticoso non anestetizzarsi di fronte alla ripetitività dei caratteri, stritolati da un’irreversibile deformazione della realtà.

L’assenza di realtà nel labirinto cinematografico

Alcune figure, quasi gogoliane nella loro grottesca tragicità, possono suscitare sprazzi di pietà: è il caso di Havana (un’intensa Julianne Moore), rivisitazione postmoderna della Norma di Viale del tramonto, o di Benjamin, bambino rovinato dal tritacarne di Hollywood ancor prima di affacciarsi alla vita vera. Tuttavia una forzata esagerazione vela questi personaggi d’inautenticità e non permette di rammaricarsi fino in fondo per il loro terribile destino.

Forse l’unica direzione che avrebbe potuto rivelarsi di qualche interesse è incarnata dal ritorno, nelle allucinazioni dei protagonisti, delle vittime innocenti del sistema, ologrammi residuali di una realtà negata. Cronenberg sceglie invece di concentrarsi sui retroscena incestuosi, cercando con criteri psicoanalitici un peccato originale che rimane nell’indefinitezza.

Nelle confuse intenzioni del film il baricentro affettivo e cognitivo sembra identificarsi in Agatha. La schizofrenia della protagonista travolge di caotica gratuità l’intera macchina narrativa: diventa difficile per lo spettatore riconoscere parametri e confini della realtà filmica.

Nella follia di Agatha non c’è molto che possa suscitare pietà, o anche solo inquietudine, perché manca qualsiasi riscontro con la realtà, finanche con quella della malattia. Siamo chiamati a far nostre le sue categorie, ma è un’operazione d’immedesimazione che si rivela, in fin dei conti, impossibile.

La debolezza del film viene definitivamente smascherata nel finale, quando un momento che si vorrebbe di grande poesia visiva e verbale non riesce a risvegliare lo spettatore dal suo annoiato sbigottimento e si perde fra le maglie di una realtà sclerotizzata che ricorda certi prosaici incubi del mattino.

Scegliere un film 2014

Tag: , ,