Una forma evoluta di intelligenza artificiale – l’Entità – è fuori controllo e imperversa sul pianeta. Introdotta nel capitolo precedente della saga, la super mente digitale, tramite fake news e manipolazione sociale, ha scatenato l’anarchia e ispirato una setta apocalittica. L’IA farà rinascere l’umanità dopo aver raso al suolo il pianeta scatenando la guerra atomica. Per fortuna, Ethan Hunt può impedirlo, recuperando il codice sorgente da cui è nata Entità, per infettarla con apposito malware. Ma serviranno jujitsu e corse a perdifiato, sparatorie e inseguimenti a sportellate, tuffi nell’Artico e acrobazie su biplani da Prima guerra mondiale. Naturalmente con i secondi – in certi casi, letteralmente, i millisecondi – contati. Insomma, una mission impossible creata con l’intento di concludere degnamente l’epopea del personaggio a cui Tom Cruise ha dato anima e – è davvero il caso di dire, visto il suo irriducibile impegno da stuntman – corpo.
Se è vero che ciascuno ha un destino, è anche vero che non vi è ancora scritto tutto, e l’ultima parola su quale domani vogliamo è la nostra. È questo il messaggio di un action meno brioso di altri suoi precedenti episodi, impegnato com’è a tirare le fila del discorso, ad alzare il più in alto possibile la posta dell’ultima missione, per inneggiare all’anima eroica del protagonista e celebrarne lo spirito di sacrificio.
C’è molta ingegneria narrativa. La storia è complessa, sovrascritta. Per esempio, nelle scene di esposizione in cui i personaggi, di volta in volta, spiegano il piano del momento, perché il pubblico abbia idea di quali virtuosismi tecnologici comporterà, di quali saranno i momenti delicati, e di cosa rischierà Hunt. La regia ce la mette tutta: le voci si alternano, ora enfatiche ora ironiche, le immagini anticipano nel dettaglio, la musica alimenta la tensione… ma è comunque tanta roba spiegata in fretta, e lo spettatore finisce per arrendersi e andare in fiducia.
Anche gli obiettivi che concretamente indirizzano l’azione si moltiplicano. Fare mente locale, pur con l’aiuto fornito nei dialoghi, richiede sempre un certo impegno. Prima i nostri devono trovare il cattivo Gabriel che sa dov’è il codice, poi bisogna salvare il compagno Luther da Gabriel, poi recuperare le coordinate del sommergibile dove è nascosto il codice, poi trovare il sommergibile, e allora ecco si può andare alla carica per il malware dall’altra parte del mondo, e renderlo operativo…
Dà spessore al dramma, ma comporta ulteriori spiegazioni, la ricerca insistita del dilemma. Per esempio, la presidente Usa che deve scegliere se sferrare un attacco nucleare preventivo ai Paesi le cui testate potrebbero essere già in mano di Entità. E considera di dover distruggere anche una città americana, per dimostrare che il nemico non erano quei Paesi, ma l’Entità impadronitasi degli arsenali… Perciò, o sono gli Usa a distruggere il mondo, o è l’Entità… Ma chi lo dice che davvero questa aspetterà a colpire fino a quando avrà il controllo di tutti gli arsenali, lasciando in tal modo a Ethan il tempo di agire? E di entrare in zona di controllo russa, rischiando così di scatenare, per altra via, comunque, una ritorsione atomica?
I collegamenti con i pregressi del franchise sono numerosi, quindi per forza sbrigativi. Tranne il migliore: il ritorno di Will Donloe, l’analista della CIA che nel film d’esordio del 1996 era stato beffato dall’ineguagliabile Hunt. Lo ritroviamo ora come personaggio di forte significato tematico, perché la sventura di allora si è per lui tramutata in fortuna, e lo mette in condizione di fare scelte decisive.
Le due grandi sequenze di azione (quella sottomarina e quella aeronautica) peccano di più d’una implausibilità (perché due biplani? Forse per il montaggio che non va per il sottile, tutta la questione dei paracaduti rimane poco chiara).
Ma, alla fine, passa bene l’ideale dell’eroe stoico: l’uomo che si prende la responsabilità di rischiare, e accetta il carico della sofferenza affettiva e fisica. “Viviamo e moriamo nell’ombra per quelli che conosciamo e per quelli che non incontreremo mai”. La sorpresa nell’epilogo, il congedo, riesce a toccare.
Paolo Braga
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