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Molière in bicicletta


TITOLO ORIGINALE: Alceste à bicyclette
REGISTA: Philippe Le Guay
SCENEGGIATORE: Philippe Le Guay
PAESE: Francia
ANNO: 2013
DURATA: 104'
ATTORI: Fabrice Luchini, Lambert Wilson, Maya Sansa
SCENE SENSIBILI: cenni di turpiloquio, allusioni sessuali.
1 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 5

Ritiratosi a vita privata in una casa malmessa sull’Île de Ré, l’attore Serge Tanneur viene raggiunto e stanato da Gauthier Valence, collega con trascorsi teatrali ma ormai star televisiva, giunto sull’isola per proporgli di tornare in scena e affiancarlo in un prestigioso allestimento del Misantropo di Molière che farà il giro dei teatri francesi. Serge giudica del tutto improbabile un suo rientro nel mondo dello spettacolo ma, non fosse altro che per un pizzico di vanità e per l’insistenza dell’altro, accondiscende almeno a provare qualche scambio di battute del primo atto. L’appetito vien mangiando: ripromettendosi ogni volta di chiudere l’esperimento, ma lasciandolo in realtà sempre aperto, Serge disquisisce per giorni con Gauthier sul vero significato dell’opera e la corretta interpretazione dei personaggi, sulla pronuncia e la metrica, sulla recitazione e sul teatro. I diversi approcci dei due attori al testo del Misantropo riflettono due diverse idee del mondo, che nei cinque giorni di prove non possono che scontrarsi con crescente asprezza.

La partita dei narcisisti

Piacerà a chi ama i duelli in cui la punta del fioretto è intinta nel veleno questa commedia ben scritta e superbamente interpretata, dove l’ideatore del soggetto Fabrice Luchini pare si sia ispirato a una vicenda personale. Si tratta di una partita a scacchi che inizia senza che i due giocatori abbiano in mente una strategia ma dove, mossa dopo mossa, la posta in gioco si alza e l’affettata signorilità iniziale è destinata a cadere sotto i colpi di narcisismo e orgoglio. Molière è lo spunto, forse il pretesto, per lo scontro tra due caratteri inconciliabili, due uomini – entrambi egocentrici ma ognuno secondo un suo stile personale – che potrebbero dividere il palcoscenico quanto due galli il pollaio. Il testo del Misantropo, con grande soddisfazione dello spettatore appassionato di letteratura, diventa il terreno su cui le due primedonne si misurano – alternandosi nei ruoli di Alceste e di Philinte – rivelando, attraverso la diversa interpretazione dell’opera, due visioni irriducibili della vita e della realtà.

Forse il consumato professionista ritiratosi a vita privata, nauseato dalla volgarità contemporanea, accetterebbe di calcare di nuovo le scene, se questo servisse a restituire dignità a un mondo dello spettacolo che a furia di compromessi ha perso la sua purezza (e che ai suoi occhi Gauthier Valence incarna alla perfezione, recitando in un popolare telefilm di ambientazione medica che assomiglia più che a E.R. alla parodia della parodia vista nelle puntate di Boris). Peccato che questo miracolo diventi per lui impossibile, e che il delicatissimo patto di fiducia stretto con il collega – non per amicizia ma per amore del teatro – debba passare attraverso la contesa per una bella forestiera di cui entrambi s’invaghiscono (e che Serge pensa gli spetti di diritto, essendo dei due quello non sposato) e quindi vada a infrangersi.

L’arte della solitudine

Un film dal piacere tutto intellettuale, che verso la fine si tinge di amarezza, dopo aver illuso lo spettatore che la rinuncia di Serge a sottoporsi a una nichilistica operazione di vasectomia (pensata per negarsi la possibilità di avere figli) potesse essere il primo passo per riaprirsi al mondo che lo circonda, e magari ad amicizie insperate. Tra una cantata in macchina che fa tanto cinema italiano à la Nanni Moretti (Maya Sansa e Luchini duettano con Il mondo di Jimmy Fontana) e un’audizione fatta a una giovanissima attrice porno (la cui declamazione dei versi di Molière lascia i due talmente incantati da far loro deporre momentaneamente le armi), la sceneggiatura di Philippe Le Guay sembra concludere che l’eccellenza nell’arte, per certi primattori, vada a braccetto più volentieri con una perentoria affermazione di sé, anche a costo della solitudine, che con la bubbola di una gloria effimera. Non a caso, a pedalare – così nel titolo originale del film – è un misantropo.

Scegliere un film 2014

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