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Napoli velata


TITOLO ORIGINALE: Napoli velata
REGISTA: Ferzan Özpetek
SCENEGGIATORE: Gianni Romoli, Valia Santella, Ferzan Özpetek
PAESE: Italia
ANNO: 2017
DURATA: 113'
ATTORI: Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Anna Bonaiuto, Peppe Barra, Lina Sastri, Isabella Ferrari
SCENE SENSIBILI: una sequenza sessuale esplicita, scene di nudo, altre scene a contenuto sessuale, momenti di tensione e violenza.
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In una Napoli misteriosa e sfolgorante, Adriana è un’anatomopatologa chiusa e solitaria, con profonde difficoltà relazionali dovute a un passato famigliare traumatico. Una sera incontra Andrea, un uomo di cui non sa nulla, ma con cui trascorre una notte di passione travolgente. Tra i due nasce qualcosa di più profonda tanto che il giorno dopo decidono di rivedersi. Ma Andrea non si presenta all’appuntamento e, nelle ore successive, Adriana scopre che gli è successo qualcosa di terribile su cui decide di fare luce.

Una realtà strabordante e insostenibile

Napoli Velata promette molto sin dall’apertura in cui la rappresentazione teatrale della “figliata dei femminelli” fa riferimento alla necessità di velare una realtà strabordante e insostenibile.
Sembrerebbe quindi che il fil rouge del film debba essere questo rapporto tra finzione e realtà, inscritto profondamente nella Napoli teatrale e misteriosa del Cristo velato. Invece, purtroppo, il tessuto narrativo si perde in mille rivoli barocchi, strappandosi e ricucendosi alla meglio, diventando spesso inautentico e sconclusionato.

Le due anime di Napoli

Il tentativo, pur meritorio, di Özpetek è quello di far incontrare le due anime di Napoli, rappresentate da due generi apparentemente antitetici, il melò e il mystery.
Se Adriana, una silenziosa e trattenuta Giovanna Mezzogiorno, è la classica eroina da mistery, il suo mondo è invece popolato di infiniti personaggi melodrammatici, più maschere teatrali che persone a tutto tondo, impegnati in una farsa costante. Neanche l’interpretazione di eccellenze storiche della napoletanità come Peppe Barra e Lina Sastri riescono a colmare le lacune della sceneggiatura e della struttura narrativa che, come stregata dalla ricchezza estetica e simbolica della città, non si dà pena di costruire personaggi credibili e sbanda inevitabilmente dietro a ogni particolare.

Un infinito potenziale sprecato

Si ha l’impressione di un infinito potenziale sprecato, un caleidoscopio di colori brillanti che non riescono a saldarsi in una forma, finendo per perdere la loro singolarità in una notte in cui tutte le vacche sone nere.
L’esoterismo paganeggiante, la superstizione, il rapporto fisico e denso con la morte (tanto rivoluzionario in una contemporaneità che la rimuove), la farsa come espediente per sostenere il peso dell’esistenza: ognuno di questi elementi del film poteva diventare un punto di vista da cui raccontare la città e i personaggi che la abitano. Ma Özpetek non ha scelto, ha voluto distillare l’anima di Napoli in un condensato di suggestioni stereotipiche, intrecciandola a un racconto confuso. Rimane una storia di passione e perdita che dovrebbe fungere da motore narrativo ma finisce anch’essa per diventare una caricatura di se stessa, fermandosi alla superficie dei personaggi e del mistero, adombrato sin da principio, di ciò che accade tra un uomo e una donna.

Un non racconto che abbaglia senza trasmettere nulla

Se il regista rimane fedele alla sua cifra stilistica variopinta e barocca, venandola di un nero gotico, a differenza di altri film (Le fate ignoranti, Saturno contro tra tutti) non riesce stavolta a entrare nell’intimità dei personaggi, squarciandone il velo della maschera. Che sia voluta o meno questa superficialità getta lo spettatore che non si accontenti della giostra vibrante di colori e suggestioni in uno stato di insofferenza.
Il finale, col suo intreccio di esoterismo e psicoanalisi, trauma e farsa, è di nuovo segno di confusione narrativa, di un non racconto che abbaglia senza trasmettere nulla.

Eleonora Recalcati

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