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Nomadland


TITOLO ORIGINALE: Nomadland
REGISTA: Chloé Zhao
SCENEGGIATORE: Chloé Zhao
PAESE: USA
ANNO: 2020
DURATA: 108'
ATTORI: Frances McDomand, David Strathairn, Linda May e Charlene Swankie
SCENE SENSIBILI: un breve accenno di nudo
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L’azienda dove il marito di Fern lavorava ha chiuso i battenti. Suo marito è morto in seguito a una lunga malattia e Fern, supplente, non ha più un posto fisso e non vuole più una casa fissa. Decide così di partire con il suo furgone e di fermarsi nei posti dove si fermano i nomadi, e lavorare saltuariamente per compagnie come Amazon.

Oscar e non solo

Leone d’oro a Venezia. Tre Oscar (miglior film, miglior regia e migliore attrice protagonista), 2 Golden Globe e 4 Bafta. Questo piccolo film è diventato un grande film e ha fatto incetta di nomination e di premi, i più prestigiosi e ambiti dai cineasti di tutto il mondo. Tramite l’attrice protagonista Frances McDormand, la regista Chloé Zhao, cinese di origine, aveva letto il libro che ha ispirato il film. Ci pensava da un po’, era affascinata dal mondo della strada e voleva raccontarlo.

I nomadi e la civiltà

Basato sull’omonimo libro-inchiesta di Jessica Bruder, il film racconta una donna che è il simbolo di una nazione e anche di una società, quella americana. Siamo nel Nevada, Fern (Frances McDormand) ha sessant’anni e non ha più niente tra le mani. Non è una donna senza tetto perché il tetto sotto il quale dormire ce l’ha. Ha lasciato tutto per girare il Nevada con il suo furgone e per avere un lavoro, non una pensione. Si ferma a dormire e a mangiare lì dove c’è un campo nomadi perché ama vivere in mezzo agli altri. Così quando incontra un nomade come lei, da solo, che la invita a conoscere la sua famiglia mentre sono per strada, Fern non ha dubbi: potrebbe ritornare a vivere avendo una fissa dimora ma c’è qualcosa di quella vita, in fondo, che avverte essere un peso. Potrebbe avere un amore, anche se non ha mai smesso di amare suo marito che ora non c’è più, ma non riesce ad aprire il suo cuore ad un altro.
I volti dei nomadi (alcuni non sono attori protagonisti ma veri “erranti” come Linda May, Swankie e Bob Wells) entrano nello schermo e sono coloro che colorano la vita di Fern. Sorride poco: solo quando trova spazio per essere se stessa e riconoscersi nei volti delle persone.
Le immensità del Nevada con i suoi spazi quasi desertici e le sue montagne alte, impervie e piene di neve sono l’altro protagonista del film.
Fern viaggia dentro la sua roulotte e questi immensi spazi allargano il suo cuore e quello dello spettatore. Spesso la macchina da presa indugia troppo sugli spazi che Fern attraversa. Si ferma, li osserva, li guarda senza andare oltre nella storia che racconta. Sul volto Fern ha disegnato il suo dolore e forse per questo motivo non ci sarebbe bisogno di ripetuti “campi lunghi”. Anche la musica firmata da Ludovico Einaudi sovrasta il racconto e rischia di accentuare in modo un po’ retorico la poesia nascosta del film.
Il tema è forte, potente: una donna senza lavoro fisso e senza marito che rinuncia alla vita che tutte le donne della sua età conducono. Una vita tranquilla, normale, con poche risorse economiche ma “fissa”. Eppure Fern dimostra che non bisogna fermarsi. Occorre andare avanti, sentire quello che il proprio cuore sussurra e non accontentarsi di ciò che le dà stabilità ma non felicità. Un film che aiuta a riflettere sulla condizione da “esiliati” dalla civiltà e su come ognuno di noi colma i vuoti esistenziali.

Emanuela Genovese

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