Nel XIX secolo, a Wisburg, in Germania, i due neosposi Thomas e Hellen Hutter vivono felici nonostante il passato di crisi epilettiche di lei e le finanze instabili. Per garantire un futuro migliore, Thomas accetta di recarsi in Transilvania come agente immobiliare per far siglare al conte Orlock un contratto per un’antica dimora a Wisburg. Giunto a destinazione, scopre che Orlock è una creatura misteriosa e crudele, legata in qualche modo a sua moglie. Intanto, a Wisburg, Hellen affronta incubi inquietanti e il ritorno dell’epilessia. Per svelare il mistero sarà necessario l’aiuto del dottor Von Franz, un medico occultista.
Con Nosferatu il regista di The Witch si conferma un autore che fa del suo essere inattuale una forza espressiva, scegliendo di radicarsi in archetipi intramontabili anziché seguire le luci evanescenti del contemporaneo. Eggers si rivela rispettoso delle opere preesistenti, in particolare del capolavoro espressionista di Murnau del 1922 (a sua volta, come noto, ispirato al romanzo Dracula di Van Stoker). Lo fa tessendo una fitta rete di citazioni senza mai scadere nel manierismo e riuscendo nel difficile compito di restituire la bellezza del mito raccontando, allo stesso tempo, qualcosa di singolare.
Le due novità introdotte nella trama, riguardo al legame preesistente tra il vampiro e Hellen (una gotica Lily-Rose Depp alle prese con un’interpretazione esigente) e il personaggio del dottor Von Franz, permettono una maggiore coesione narrativa e introducono possibilità ermeneutiche originali. Von Franz (un saturnino ma empatico Willem Dafoe) deve il cognome alla psicoanalista junghiana Marie-Louise Von Franz, e non a caso: nella sua visione del mondo si scorge la lezione della studiosa sull’interpretazione delle fiabe e dei testi alchemici, sulla necessità di guardare a fondo nell’abisso del male (l’Ombra per Jung) e di riconoscerlo in sé per affrontarlo senza schematismi. “Se vogliamo domare l’oscurità dobbiamo prima accettare che questa esista”, dice Von Franz, in polemica contro lo scientismo riduttivo della sua epoca. Lo scienziato, nel film, ha una funzione simile al Van Helsing del film del 1979 di Werner Herzog, ma un metodo diverso, fondato su aspetti simbolici e interiori. In Nosferatu mancano perciò le scene action e adrenaliniche che ricorrono in altri film sui vampiri: il motore dell’azione si sviluppa a un livello profondo, lavorando sull’inconscio dei personaggi.
La presenza di Dafoe nei panni di un eccentrico scienziato richiama alla mente Povere creature, film recente con ambientazione similmente gotica. Per quanto il contesto possa sembrare per certi versi vicino, Nosferatu lo interpreta in modo opposto, senza esasperazioni o ammiccamenti ai temi dominanti della nostra epoca. La questione femminile è presente anche qui ma a un livello profondo, dove giacciono interrogativi antichi e non tesi o “-ismi.”
L’unica esasperazione, rispetto ai modelli, è forse nella rappresentazione del male: il conte Orlock è una creatura animalesca, putrida, senza alcun tentativo di edulcorazione. Siamo lontani dai vampiri carismatici e seduttivi di altri film: in Orlock rimane ben poco di umano. Lui stesso si dichiara come mero “appetito” e, nella sua figura, non sono rintracciabili né cultura né fascino seduttivo, ma solo un’insaziabile tensione ad afferrare e distruggere.
È come se Eggers avesse disegnato l’antagonista sui contorni della celebre ombra artigliata di Murnau: Orlock è una mano che si stende sul mondo per disintegrare ciò che vi rimane di umano. Eppure, la sua oscura potenza non è incontrastata: si arresta alle porte del convento dove, sotto gli affreschi dei serafini, le suore salvano Thomas e Orlock può essere sconfitto dal coraggio della conoscenza, innanzitutto di sé stessi.
La fotografia elegante e potente di Jarin Blaschke, marchio identificativo dei film di Eggers, dà vita a quadri simbolici di sapore preraffaellita, un piacere per gli occhi che non si limita mai al mero estetismo e si intreccia intimamente con il racconto.
Ne risulta un film che, nonostante la fedeltà ai modelli e la passione filologica, non ha nulla di derivativo o pesante, un’opera certamente poco pop eppure universale, in quanto radicata nell’archetipo. Un film gotico e horror che, pur rispettando i topoi del genere, non insegue lo spavento ma un’esperienza artistica e meditativa, come nella tradizione espressionista di Murnau e del gotico letterario.
Eleonora Recalcati
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