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Opera senza autore


TITOLO ORIGINALE: Werk ohne Autor
REGISTA: Florian Henckel von Donnersmarck
SCENEGGIATORE: Florian Henckel von Donnersmarck
PAESE: Germania
ANNO: 2018
DURATA: 189'
ATTORI: Tom Schilling, Paula Beer, Sebastian Koch, Saskia Rosendahl
SCENE SENSIBILI: diverse scene a contenuto sessuale e di nudo
1 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 5

Fine anni ’30: Il piccolo Kurt Barnert, che ha già dato prova di un notevole talento per la pittura, assiste sbigottito al prelievo forzoso da casa della giovane zia Elisabeth, affetta da una lieve forma di schizofrenia, con cui aveva un rapporto speciale. Elisabeth verrà sterilizzata e poi uccisa in una camera a gas. Dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale, Kurt ormai ventenne si iscrive all’Accademia d’Arte di Berlino. Siamo nella Germania Est, e sotto il regime comunista l’arte deve essere per forza il realismo socialista e occorre cancellare ogni traccia di “io” dalla realizzazione artistica. Kurt conosce lì una studentessa di moda, la bellissima Ellie, figlia del ginecologo professor Seeband, che era stato colui che aveva firmato la condanna a morte della “inutile” Elisabeth, nonostante le strazianti suppliche di lei. Nessuno saprà di questa coincidenza che lega come in un unico destino Kurt e la famiglia Seeband. Profondamente insoddisfatto dell’arte di regime, e nonostante il successo raggiunto, Kurt decide di fuggire con Ellie, ormai sposa, in Occidente, poco prima che venga edificato il muro di Berlino. Lì Kurt va all’Accademia di Düsseldorf (è l’inizio degli anni ’60) dove vige il totale rifiuto di ogni regola e si vive in assoluta libertà, ma senza concretezza, senza nessun senso… a poco a poco, attraverso incontri e scontri con il suocero, il giovane Kurt – aiutato da Ellie – imparerà che cosa significa realizzare un’arte che sia profondamente personale, e che miri a una verità più grande.

L’arte e il  coraggio di puntare alla verità

«Bellezza è verità, verità è bellezza» queste parole di Keats, pronunciate prima dalla zia Elisabeth e poi riecheggiate in diverso modo da altri personaggi durante il film, sono forse l’espressione più sintetica del tema che, con un film ambizioso e affascinante, visivamente pregevole (la fotografia è di Caleb Deschanel, lo stesso de La passione di Cristo), ma forse non pienamente riuscito, ha voluto esprimere il regista Florian Henckel von Donnersmarck, che aveva abbagliato tutto il mondo con lo straordinario esordio con Oscar, Le vite degli altri.
Dopo una parentesi hollywoodiana con un film di puro entertainment, The Tourist, il regista torna a trattare grandi temi con un film di tre ore che si può dividere agevolmente in tre segmenti: l’esordio sotto il nazismo, la parte centrale nella Germania Est e la parte finale nella ormai benestante e “liberata” (ideologicamente anche troppo: nessuno sa cosa dire, il docente non fa lezione, lascia che ciascuno si esprima e basta) Germania Ovest.
L’arte invece deve avere il coraggio di puntare alla verità: «Non distogliere lo sguardo» è l’altra raccomandazione che zia Elisabeth aveva fatto al piccolo Kurt, frase che diventa il titolo internazionale del film (Never Look Away), a nostro parere molto più efficace del penalizzante titolo originale Werk ohne Autor, ripreso letteralmente dal titolo italiano.

Un finale dibattuto

Il film ha aspetti pregevoli: per esempio si vede chiaramente, ma senza nessun insistito compiacimento, la crudeltà e l’inumanità della decisione nazista di considerare alcune vite prive di valore (e quindi di decidere l’eutanasia di malati, persone non perfette, ecc.). Invece il professore di arte della DDR, che insiste sul realismo socialista e sul fatto che dall’arte occorre cancellare l’io (concentrarsi solo sull’io porta all’infelicità), è visto con più empatia: una sua cruda critica all’arte «vanitosa e decadente» di Picasso e altri innovatori non toglie il fatto che egli venga rappresentato come una persona seria, responsabile e amichevole nei confronti di Kurt.
È molto bello il legame tenero e affettuoso che nasce subito fra Kurt ed Ellie: si amano, si sposano, si sostengono, nonostante il suocero induca con l’inganno la propria figlia a un aborto («Trent’anni di lavoro come ginecologo me l’hanno insegnato: un aborto riesce a mettere fine a qualsiasi storia d’amore»), e diventano genitori. Lei lo ama, lo comprende e lo sostiene. E lui, come afferma il regista, solo quando si sente finalmente libero diventa una grande artista e vive il suo talento.
La risoluzione interiore di Kurt, che finalmente con gli anni comprende come connettere le sue esperienze personali e il suo mondo interiore con i quadri che realizza (tecnicamente Kurt era sempre stato bravissimo), non è però chiarissima per lo spettatore, perché a parole Kurt la nega nella parte finale del film: a domanda precisa, in conferenza stampa al Festival di Venezia 2018, dove il film è stato presentato, il regista ha spiegato che Kurt nega questo legame della pittura con l’io, con le sue emozioni e la sua persona, perché gli artisti sono timidi e si esprimono molto di più con l’arte che non a parole… e che spesso quando parlano delle loro opere mentono. Lo spettatore avrebbe quindi dovuto capire questa risoluzione dalle opere stesse e non dalle dichiarazioni di Kurt.

Una riflessione intelligente e sfidante

Come si vede, quindi, un’opera molto ambiziosa, imponente, splendidamente girata, molto ben recitata da tutti (non a caso ha avuto la nomination all’Oscar come miglior film straniero e come miglior fotografia), e che è costata quattro anni di lavoro al regista. Il film, liberamente ispirato alla vita di un pittore oggi considerato tra i più grandi al mondo, Gerhard Richter (viene ripreso il suo stile nei quadri finali e viene citato un suo quadro di nudo femminile, Ema: nudo su una scala), tocca quindi, come abbiamo visto, diversi temi delicati, che hanno fatto alzare steccati e fatto partire attacchi ideologici da parte di alcuni critici prevenuti… altri ne sono stati invece entusiasti.
Una cosa che un po’ sorprendente è però l’uso abbondante del nudo che viene fatto nel film: per il regista è un aspetto della verità (forse deriva anche da una sensibilità molto tedesca sulla questione), ma forse potrebbe distrarre almeno una parte degli spettatori su fruizioni e letture più terra terra…
Nel complesso si tratta quindi di una riflessione intelligente e sfidante, che chiede uno spettatore attento e maturo, ma che forse negli anni riscatterà il poco successo avuto all’uscita nelle sale, diventando un punto di riferimento fra i film che parlano di pittura, e della funzione e del ruolo dell’artista più in generale.

Scegliere un film 2019

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