SCEGLIERE UN FILM

Queer


TITOLO ORIGINALE: Queer
REGISTA: Luca Guadagnino
SCENEGGIATORE: Justin Kuritzkes
PAESE: Italia, USA
ANNO: 2025
DURATA: 135'
ATTORI: Daniel Craig, Drew Starkey, Jason Schwartsman, Lesley Manville, Henry Zaga
SCENE SENSIBILI: molte scene con contenuto sessuale esplicito, diverse scene di nudo integrale, consumo di droghe, dipendenza da sostanze, turpiloquio
1 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 5

Città del Messico, anni ’50. Lee, un americano di mezza età rifugiatosi all’estero a causa della sua dipendenza dall’eroina, trascorre le sue giornate tra alcol, solitudine e incontri fugaci con giovani uomini. Tutto cambia quando si invaghisce di Eugene, un ragazzo enigmatico e affascinante, anche lui esule, che diventa la sua ossessione. Accecato da un desiderio non corrisposto, Lee convince Eugene a seguirlo in un viaggio verso il Sud America, inseguendo una droga leggendaria nascosta nel cuore della giungla.

 

La ricostruzione di un mondo

Con Queer, Luca Guadagnino si confronta con l’omonimo romanzo autobiografico di William S. Burroughs, padre della beat generation, tornando a esplorare le dinamiche del desiderio ossessivo, ma con uno sguardo più stratificato e sofferto, meno ammiccante rispetto ai suoi precedenti lavori (Io sono l’amore, Chiamami col tuo nome, Challengers). Se in questi film una tensione erotica un po’ patinata saturava ogni spazio, in Queer l’ambientazione – il rigoglio languido, bruciato dal sole, del Messico negli anni ’50 – e alcuni personaggi secondari arruffati acquistano, a tratti, corpo e voce.

L’Equatore ricostruito a Cinecittà denota la cura millimetrica del regista, che impiega talento e impegno per restituire filologicamente la luce del romanzo. Questo intento meritevole è però frenato dalla tensione di ogni scena, di ogni sguardo e riga di dialogo, impazienti di tornare al desiderio distruttivo, cifra onnipresente che fa ombra a qualsiasi altro elemento scenico e narrativo, impedendogli di dispiegarsi appieno.
I riferimenti alla società e al mondo descritti da Burroughs – che si tratti di quello scapigliato degli expat statunitensi in Messico o della cupa giungla ecuadoregna abitata da stralunati personaggi in ricerca – nel film diventano piccole scie, frammenti non sempre contestualizzabili: personaggi emergono dal buio della foresta per il tempo di una notte, ma sono subito riassorbiti dalla forza del desiderio che Lee (un intenso Daniel Craig) nutre per Eugene (uno sfingeo Drew Starkey), un moto senza fuga, fusionale, che annulla qualsiasi passato e presente.

 

L’ossessione del regista

In Queer, seguendo il solco tracciato da Burroughs, Guadagnino sconfina in territori finora inesplorati dal suo cinema, come quello della solitudine, della vecchiaia, financo della disperazione. Ma, come nel gioco dell’oca si torna continuamente indietro, al corpo giovane di Gene, al desiderio furioso di Lee, che dispone i protagonisti nel consueto schema di predatori e prede, all’interno di una dinamica asimmetrica, di pura prevaricazione che abbiamo già visto in altre opere del regista. Accade spesso che il cinema di un autore sia percorso da fissazioni, da nuclei tematici identici, senza per questo dar vita a film ripetitivi. Anzi, affrontando la stessa domanda da vari punti di vista, si possono sviscerarne le sfumature. Con Guadagnino – e Queer purtroppo non fa eccezione – si ha invece l’idea di una ripetizione costante che non aggiunge e non toglie, che non va a fondo, galleggiando su una superficie scintillante ma illusoria.

Con Queer, forse, si sfiora la possibilità di qualcosa di diverso: uno slancio tragico nuovo, assente da altre opere, che si rintraccia fin dalla sofferta colonna sonora, il cui splendido intreccio è forse l’aspetto più riuscito dell’opera. Lee, uomo di mezza età, esule, devastato dalla dipendenza da oppio, ambirebbe a uno sguardo d’amore che fosse reale, che contemplasse affetto e cura per il suo corpo ferito, per la mente affaticata, e invece si trova a inseguire l’enigma dietro lo sguardo freddo di Eugene, prigioniero di una nuova dipendenza. Per comprendere cosa nascondano quegli occhi, arriva a cercare nel cuore della giungla (con tutta la potenza metaforica che rappresenta) una risposta e una fusione impossibile.
Questa linea narrativa di viaggio e ricerca, partendo troppo tardi, consegna il lungo inizio a una languida deriva da flâneur, e suggerisce, nel secondo atto, un passo in più che purtroppo non si realizza. La domanda d’amore e di senso che abita gli occhi disperati di Lee sfuma in un finale confuso, lisergico, che accelera e affolla lo schermo di simboli vorticosi, senza mai davvero toccare il cuore del dramma vissuto dal protagonista.
Anche questa volta, Guadagnino rimane un passo indietro rispetto alle emozioni dei personaggi, e l’estetica impeccabile delle scene rischia di essere fine a sé stessa, di non scavare una traccia, come un arzigogolo sull’acqua.

 

Eleonora Recalcati

Tag: , , , ,