Secolo XXIII o giù di lì. Rischia di morire di noia il povero capitano James T. Kirk, girovago delle galassie insieme al fidato equipaggio dell’astronave Enterprise. Tra un negoziato di pace e l’altro, razze aliene da rabbonire e pianeti lontani da esplorare, anche la vita tra le stelle rischia di trasformarsi in una routine logorante. Poco prima di rassegnare le dimissioni, e cedere la plancia della nave stellare al suo secondo, il prode capitano capta una richiesta d’aiuto proveniente dallo spazio profondo che lo sottrae allo spleen e lo proietta, insieme ai suoi fidati compagni d’avventura, in una pericolosa missione che rischierà di mettere a repentaglio milioni di vite umane.
J.J. Abrams è il Re Mida hollywoodiano (come lo Steven Spielberg di trent’anni prima) che fa diventare oro tutto quello che tocca. Star Trek era una saga che, tra televisione e cinema, era entrata nell’immaginario della cultura popolare come una sacra reliquia, ma senza mai essere presa veramente sul serio. All’attivo contava una marea di puntate televisive, dieci film di fiacchezza crescente (a parte il divertente Star Trek IV: Rotta verso la terra, nel 1986) e una nicchia di fan sfegatati, abbastanza nutrita da giustificare l’investimento in nuovi racconti, ma senza mai la vera preoccupazione di conquistare nuovi spettatori. Grazie al tocco registico nei due brillanti Star Trek – Il futuro ha inizio (2009) e Star Trek – Into Darkness (2013), e alla spendibilità di un nome che il pubblico giovane, almeno dai tempi della serie Lost, associa automaticamente a progetti accattivanti e intelligenti, J.J. Abrams è riuscito a trasformare il mito di pochi in una serie di film per tutti, donando al brand quello che mancava di appeal nelle giuste dosi e al momento opportuno. Dedicatosi nel frattempo alla serie “cugina” di Star Wars, e restando qui solo nelle vesti di produttore, Abrams ha ceduto il timone a Justin Lin, regista di alcuni episodi della serie di Fast & Furious, evidentemente a suo agio quando bisogna pigiare il pedale dell’acceleratore tra scoppiettanti scene d’azione e inseguimenti mozzafiato.
Questo terzo episodio del nuovo filone (tredicesimo in totale) non delude sul piano dell’intrattenimento, tra effetti speciali di qualità e l’ingegnosità scenografica nella creazione di mondi lontani. La trama, però, non approfondisce alcune questioni accennate senza troppa convinzione (“Se l’universo è davvero infinito, la nostra ricerca potrebbe non avere mai fine”, dice Kirk all’inizio, ma rimane un’intuizione estemporanea). Gli studiosi di sceneggiatura direbbero che il film non ha un tema o, se ce l’ha, è talmente debole che si fa dimenticare presto. L’idea di un capitano di astronave annoiato dalla routine non è il massimo come innesco del primo atto (anche perché – un po’ contraddittoriamente – Kirk è un convinto pacifista che sembra non vedere l’ora che qualcuno gli dichiari guerra). Le motivazioni dell’antagonista – l’ennesimo alieno incattivito da un’antica ferita – portano lo scontro su un piano abbastanza superficiale. Così anche le frasi declamate dai personaggi sull’unione che fa la forza, sulla speranza che è l’ultima a morire e sul vantaggio di salvare vite anziché sopprimerle, non sembrano frutto di grande sforzo creativo e non ispessiscono una storia che, sia pur timidamente, cullerebbe ambizioni filosofiche.
Insomma, un piccolo passo indietro per la saga di Star Trek, che avrebbe bisogno, per andare davvero “oltre” (beyond) come suggerisce il titolo, o di maggiore profondità o di maggiore sfrontatezza. O del tocco inconfondibile di un Re Mida di Hollywood.
Raffaele Chiarulli
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