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The French Dispatch


TITOLO ORIGINALE: The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun
REGISTA: Wes Anderson
SCENEGGIATORE: Wes Anderson
PAESE: Stati Uniti d’America, Germania
ANNO: 2021
DURATA: 108'
ATTORI: Owen Wilson, Benicio del Toro, Adrian Brody, Tilda Swinton, Léa Seydoux, Frances McDormand, Timothée Chalamet, Willem Dafoe, Bill Murray e Edward Norton
SCENE SENSIBILI: Scene con nudi integrali e parziali, linguaggio con espliciti riferimenti sessuali
1 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 5

Nel 1975, nell’immaginaria città francese di Ennui-sur-Blasé (letteralmente, “noia sull’apatico”), l’editore della rivista The French Dispatch, muore improvvisamente e per sua volontà testamentaria la pubblicazione della rivista viene sospesa dopo un ultimo numero in cui vengono pubblicati solo quattro articoli o episodi. In The Cycling Reporter Herbsaint Sazerac offre un tour in bicicletta del paesino francese, dimostrando quanto i diversi luoghi visitati non siano cambiati fra passato e presente. Ne Il capolavoro concreto, si racconta la carriera di Moses Rosenthaler, un artista pazzo e omicida che in carcere dipinge un ritratto nudo astratto di Simone, un’agente penitenziaria con cui ha una relazione. Julien Cadazio, un commerciante d’arte che sta scontando anche lui una pena per evasione fiscale, acquista il dipinto che presto fa notizia nel mondo dell’arte. Tre anni dopo, Cadazio scopre che il capolavoro di Rosenthaler è una serie di affreschi sulle pareti della prigione e, rocambolescamente, fa in modo che l’intero muro venga trasportato in aereo fuori dalla prigione in un museo privato a Kansas. In Revisioni di un Manifesto Lucinda Krementz, racconta di una protesta studentesca scoppiata per le strade di Ennui nel cosiddetto “Maggio francese” e, nonostante insista sulla sua presunta “neutralità giornalistica” ha una breve storia d’amore con Zeffirelli, il giovane leader della rivolta, di cui è innamorata Juliette. Poche settimane dopo, Zeffirelli muore tentando di riparare la torre di una stazione radio pirata, e ben presto una sua fotografia diventa il simbolo del movimento. Ne La sala da pranzo privata del commissario di polizia Roebuck Wright racconta la storia della sua partecipazione a una cena con il commissario di polizia di Ennui, preparata dal leggendario poliziotto/chef Lt. Nescaffier. La cena viene interrotta quando il figlio del commissario Gigi viene rapito e tenuto in ostaggio da criminali, guidati da un musicista fallito chiamato The Chauffeur. Il tenente Nescaffier viene inviato nel nascondiglio dei rapitori, apparentemente per fornire cibo sia a loro che a Gigi, ma segretamente il cibo è avvelenato. I criminali soccombono tutti al veleno tranne Gigi e The Chauffeur poiché nessuno dei due ha mangiato i ravanelli avvelenati, e Nescaffier sopravvive a malapena (a causa del suo stomaco forte).

Un divertimento fine a se stesso

Si può leggere in questo ultimo film di Anderson il desiderio di rendere omaggio al mondo del giornalismo e al contempo al cinema francese di cui si sente debitore, da Tati a Godard, ma, in realtà ogni tentativo di rintracciare un’intenzione diversa da quella di ribadire esclusivamente la propria inconfondibile poetica si infrange alla prova dei fatti. Il film è un sistema estetico, costellato di dettagli e citazioni, ed è l’apoteosi della tendenza del regista all’horror vacui, tenendo lo script come griglia e l’ambientazione come circuito chiuso fatto spesso di inquadrature simmetriche. Lo stesso ricchissimo cast, in cui anche star blasonate ricoprono ruoli secondari sta a significare la volontà del regista di indurre lo spettatore a non legarsi a null’altro se non al gioco fantasmagorico di personaggi, costumi, colori, immagini, invenzioni (compresa la graphic novel) che scorrono sullo schermo come fosse la tavolozza di un eccentrico e imprevedibile pittore.

Quando nella bulimia della forma non resta alcun senso

Anderson, più ancora che in altri suoi film, non è alla ricerca di un tema dominante e tanto meno di un messaggio. L’interesse del regista è squisitamente formale, ma qui la forma prevale in modo ossessivo e il pubblico accusa quasi un senso di stanchezza per la ridondanza di stimoli che non può metabolizzare. L’unica via è quella di assaggiare ogni singola situazione in se stessa, senza un prima e un dopo, quasi fossero versi poetici in libertà: allora, dal nome evocativo del paese francese, ai titoli degli articoli/episodi, dalle interpretazioni delle star alle loro singole battute, tutto può suscitare emozione e forse il cinema è anche (o, per Anderson, solo) questo.

Giovanni M. Capetta

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