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The Post


TITOLO ORIGINALE: The Post
REGISTA: Steven Spielberg
SCENEGGIATORE: Liz Hannah e Joel Singer
PAESE: Usa
ANNO: 2017
DURATA: 118'
ATTORI: Meryl Streep, Tom Hanks, Sarah Paulson, Bob Odenkirk, Carrie Coon, Bradley Whitford, Tracy Letts, Mathew Rhys, Alison Brie, Bruce Greenwood.
SCENE SENSIBILI: nessuna
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Mentre l’esercito americano si trascina in una guerra, quella del Vietnam, impossibile da vincere, un consulente del Ministero della Difesa passa alla stampa un carteggio che prova la cattiva fede delle ultime amministrazioni (democratiche e repubblicane) rispetto alla vicenda. Dopo un primo affondo da parte del New York Times, sarà il Washington Post della solo apparentemente fragile editrice Katherine Graham a guidare la battaglia per la libertà di stampa contro gli insabbiamenti del governo.

Una grande storia di coraggio civile americano

Si presenta come una sorta di prequel delle vicende narrate in Tutti gli uomini del presidente (lo scandalo Watergate è citato nell’ultima sequenza) l’ultimo lavoro di Steven Spielberg, che ben si inserisce nella filmografia del regista amante delle grandi storie di coraggio civile americane. La battaglia contro un governo ottuso e prevaricatore (che in molti hanno voluto vedere come una metafora della “resistenza” hollywoodiana contro l’amministrazione Trump) è presentata con una struttura abbastanza classica, un tripudio di personaggi più o meno riconoscibili (ma dove non arriva il dettaglio della scrittura ci pensa la buona volontà di una miriade di volti noti…) e una seconda parte decisamente più avvincente della prima.

Una protagonista anomala

L’inizio del film, infatti, mentre lo scandalo dei Pentagon Papers monta sotto traccia a partire dalla prima scena, si addentra piuttosto nelle vicende amministrative del Washington Post, all’epoca un quotidiano di secondo piano alla prese con un rifinanziamento tramite vendita di azioni, una mossa necessaria dopo un periodo di relativa crisi dovuto al suicidio del brillante editore. A guidare la baracca è rimasta la di lui vedova, Katherine (Meryl Streep), un personaggio che, in maniera anomala, diventa decisivo nella storia molto più di quello del direttore interpretato da Tom Hanks o di qualche eroico giornalista.
Questo slittamento di prospettiva in chiave femminista, sottolineato dalla presenza di un paio di reporter donne, in realtà praticamente ininfluenti poi sulla trama, nonché dalla sequenza finale fuori dal tribunale che sancirà la vittoria dei giornali sul Governo (qui, mentre gli uomini si lanciano in comunicati, la Graham silenziosa sfila tra donne che manifestano per la libertà di stampa), è forse anche un omaggio alle polemiche dell’oggi che però regala alla Streep la possibilità di costruire uno dei suoi memorabili personaggi.
La sua Katherine è una donna di casa, che ha vissuto all’ombra di un marito geniale (il giornale era della famiglia di lei ma il padre lo aveva dato in mano al genero) e ora si trova ad affrontare una schiera di uomini sempre pronti a dirle cosa deve fare, si tratti di come gestire un consiglio di amministrazione o stabilire quanto rischiare mettendosi in coda alle rivelazioni del New York Times, per amore della libertà di stampa, sì, ma anche per far guadagnare al Post un ruolo da quotidiano nazionale.
La parte più interessante (e forse meno notata) di questo percorso di emancipazione è in realtà quella iniziale, dove vediamo chiaramente che i dubbi della Graham non vengono solo da ragioni di prudenza, ma anche da conflitti che si potrebbero definire ideologici. Se, infatti, la battaglia dell’oggi è contro la facilmente demonizzabile amministrazione Nixon, lo scandalo invece affonda le sue radici nelle amministrazioni democratiche dei suoi “amici” del circolo dei kennedyani…la cattiva coscienza della guerra, infatti, è assolutamente bipartisan.

La vocazione democratica della stampa

La pellicola di Spielberg è un solido, benché non sempre egualmente appassionante, inno alla vocazione democratica della stampa, che porta in scena un mondo che oggi sembra lontanissimo. In tempi di wikileaks i giornali che si muovono tra scambi di carte e telefonate sembrano venire (e vengono) da un altro secolo ed è forse anche per questo che Spielberg ha voluto puntare su una linea, quella dell’editrice che scopre la sua vocazione di atipica leader poco amante del palcoscenico, che strizza l’occhio all’oggi svecchiando un impianto per altri versi anche troppo classico.

Luisa Cotta Ramosino

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