1917, Robert Grainier è un taglialegna. La sua vita è un viavai tra l’Idaho, dove vive con moglie e figlia, e lavori stagionali nei cantieri ferroviari; ed è disseminata di singolari incontri e di episodi forse passeggeri, ma destinati ad imprimersi nella sua memoria, a suscitargli domande sull’esistenza. Amplificate da dolori inattesi.
Basato sull’omonima novella di Denis Johnson, Train Dreams è un film, almeno in parte, sfuggente: e forse non poteva essere altrimenti.
L’obiettivo, dichiarato in apertura, è ritrovare il perduto contatto con le cose, la connessione personale con la natura, la comunione con l’essere tutto intero. Un’opera schiettamente esistenziale, figlia del cinema di Terrence Malick, in cui il rapporto tra ambiente naturale e intervento umano – il disboscamento necessario a costruire le ferrovie – è solo parte di un problema più esteso. Tant’è vero che, alla ricorrente immagine di tronchi abbattuti, si abbina quella di rami che crollano a terra spontaneamente: solo uno dei tanti piccoli o grandi imprevisti messi in moto dalla misteriosa mano del destino, del caso o chissà che altro.
L’intera realtà è una foresta di punti interrogativi, a partire dalla presenza maestosa delle sue lande e dalla pittorica sinfonia dei suoi colori. Ancor più lo sono gli incontri: per Robert Grainier, ogni persona è come una bizzarra comparsa, destinata, prima di uscire di scena, ad essere custodita nel suo intimo scrigno di rebus e di ricordi. L’introverso boscaiolo assiste silente ad ogni cosa: la sua posizione è quella di chi osserva l’esistenza restandone al margine. E quando questa lo colpisce coi suoi dolorosi strali, Grainier rimane in attesa di un’epifania, che diradi un cosmo reso ancora più arcano.
Date queste premesse, non sorprende che Train Dreams sia arduo da interpretare: la sua stoffa consiste proprio nella difficoltà a ricostruire il significato di un cammino personale, a rintracciarvi una storia, a ricomporne i frammenti in un disegno. Se a questo si aggiungono la malinconica attitudine di Grainier, la sua interiorità più celata che manifesta, nonché la presenza di sequenze oniriche e dettagli simbolici, ne risulta un’opera rivolta ad un pubblico paziente. Opera, peraltro, fondata non sui tempi dell’azione, ma su quelli, dilatati, della meditazione interiore.
È solo in compagnia della moglie Gladys che Grainier abbandona, almeno in parte, il suo contemplare attonito a favore di un coinvolgimento attivo, dell’edificazione di una storia personale, che non sia il solo presenziare a quelle altrui. In effetti, l’irrisolta enigmaticità del mondo sembra anche il risultato di una vita trascorsa a bordocampo, postazione da cui è facile lasciarsi sfuggire il valore dei singoli eventi, le occasioni di felicità. Vivere non è guardare: non per nulla, altri personaggi, pur non possedendo ogni risposta, riconoscono più facilmente la bellezza racchiusa in ogni particella di mondo. La meraviglia non è un mero atto osservativo: è una partecipazione.
Dunque un modo per decriptare il mistero c’è: tuttavia, è proprio la formula finale cui si approda a rendere il film particolarmente ermetico. Una formula che, retrospettivamente, non sembra gettare alcuna luce nuova sul vissuto di Grainier. Si potrebbe anzi sospettare che, nei fatti, si tratti non di una risposta alla domanda sul significato, ma di una rinuncia. O di una posticipazione: al di là di quanto dichiarato, in fondo il film sembra in grado di dire soltanto che occorrono occhi nuovi, ma senza specificare quali, fallendo dunque nel donarceli. Ma è qualcosa di cui si può discutere.
È probabile anche che la poesia di Train Dreams produca risonanze emotive molto variegate: alcuni lo troveranno straordinariamente acuminato nel pizzicare le corde dei tremori più riposti. Altri troveranno Grainier troppo taciturno per sentirsi compagni dei suoi fremiti; o la riflessione conclusiva troppo evanescente perché l’esperienza della visione acquisti reale potenza.
Non solo, ma gli interrogativi di Grainier riguardano anche la violenza che attraversa il mondo, in particolare la storia americana: cosa che potrebbe non avere alcun nesso reale col tema nel suo insieme. A esser dato per certo è che il perduto contatto con le cose non era affatto sconosciuto al mondo che fu: si tratta di un passaggio segreto smarrito nel tempo. Un passaggio il cui ritrovamento, anche in una vita ordinaria come quella di Robert Grainier, non è precluso a nessuno.
Marco Maderna
Tag: 3 stelle, Drammatico