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Un altro giro

Un altro giro


TITOLO ORIGINALE: Druk
REGISTA: Thomas Vinterberger
SCENEGGIATORE: Tobias Lindholm e Thomas Vinterberg
PAESE: Danimarca, Svezia, Paesi Bassi
ANNO: 2020
DURATA: 117'
ATTORI: Mads Mikkelsen, Thomas Bo Larsen, Magnus Millang, Lars Ranthe, Maria Bonnevie
SCENE SENSIBILI: uso di alcol in modo smodato e induzione a farlo anche ad un minore. Una breve scena a contenuto sessuale, non esibita.
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Martin, Tommy, Peter e Nikolaj sono insegnanti in una scuola danese, uniti da profonda amicizia e da un sottile malessere di mezza età. Insieme si accordano per vivere un’esperienza che definiscono pretestuosamente esperimento scientifico: dimostrare che abbia ragione lo psichiatra norvegese Finn Skårderud secondo cui si nasce con un deficit di alcol dello 0,05% che renderebbe l’uomo meno reattivo nella professione e nelle relazioni.
L’avventura pare dare effetti positivi e soprattutto Martin, da tempo spento e privo di motivazioni in aula come in famiglia, ritrova la vitalità da anni scomparsa. I quattro, contenendo i primi effetti collaterali, superano progressivamente la soglia alcolica prefissata fino a non riuscire più a tenere nascosta la cosa e ad evitarne le tragiche conseguenze.

Un premio Oscar in un periodo particolare

Nel 2021 Un altro giro vince l’Oscar per il miglior film straniero, un riconoscimento importante per il regista, candidato anch’egli al premio e per tutto il sempre più vivace cinema danese. Meritevoli sono la capacità di scavare nei vissuti dei personaggi e la felice scelta degli interpreti, in particolare il sempre più maturo Mikkelsen.
A questo, però, si aggiunge la sensazione che il tema del film lo abbia spinto alla vittoria nel difficile tempo della pandemia. L’importanza della libertà interiore, di desiderio, sogno, giovinezza e amore – usando le parole di Kierkegaard in apertura – la necessità di trovare passione e motivazioni sempre più coinvolgenti, tutto ciò potrebbe aver influenzato l’Academy nell’epoca del Covid. Quasi che il cinema possa celebrare, come in una danza, la gioia di vivere degli uomini anche nelle condizioni più drammatiche.

Fino a dove è lecito spingersi?

Gli alunni di Martin sono demotivati tanto da suscitare le preoccupazioni dei genitori che imputano al professore di non prepararli a dovere. Anche a casa il protagonista è spento, assente e sua moglie ammette di non avere più la pazienza di aspettarlo, c’è un altro nella sua vita. Pure Tommy, Peter e Nikolaj hanno bisogno di sentirsi di nuovo vivi e l’utilizzo dell’alcol sembra a tutti una strada percorribile, che si può tenere sotto traccia, sia a scuola, sia a casa, dove un perbenismo di facciata cela disagi profondi anche fra i giovani. La prova sortisce gli effetti sperati: le lezioni di Martin diventano avvincenti, Tommy motiva i pulcini sul campo di calcio come mai prima di allora, anche Peter e Nikolaj hanno successo… Eppure, basta la decisone di superare il limite che si erano imposti perché tutto precipiti. Martin perde l’intesa che aveva appena ritrovato con la famiglia e Tommy si presenta ubriaco in sala professori: si presume sarà radiato e, non sopportandolo, si lascia morire in mare. Il lutto per l’amico perso, però, non è l’ultima parola. Gli studenti diplomati festeggiano l’esame superato e Martin, completamente libero da ogni freno inibitorio, si abbandona ad una danza sfrenata. E dunque? Ben venga l’abuso di alcol se questo cambia la tua percezione della vita e te la rende più sopportabile? È pure legittimo far bere un giovane candidato perché trovi il coraggio di rispondere all’esame? Le canzoni che accompagnano i balli dei protagonisti sottolineano l’onesta bontà della loro euforia, c’è l’eco dei versi nostrani: Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza; ma è solo così che si può rinvigorire una vita usurata dal tempo? Non sono piuttosto determinazione e solidarietà le risorse più profonde perché il tempo non avvizzisca le speranze della giovinezza? Il film non pare domandarselo e parteggia chiaramente per l’eccesso, che, seppur con esito tragico, vale la pena: lo spettatore può, invece, interrogarsi e proseguire autonomamente la sua riflessione.

Giovanni M. Capetta

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