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Un Fantastico via vai


TITOLO ORIGINALE: Un fantastico via vai
REGISTA: Leonardo Pieraccioni
SCENEGGIATORE: Paolo Genovese e Leonardo Pieraccioni
PAESE: Italia
ANNO: 2013
DURATA: 95'
ATTORI: Leonardo Pieraccioni, Serena Autieri, Marianna Di Martino, Chiara Mastalli, Giuseppe Maggio, David Sef, Maurizio Battista, Marco Marzocca, Massimo Ceccherini, Giorgio Panariello, Alessandro Benvenuti
SCENE SENSIBILI: qualche parolaccia.
1 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 51 vote, average: 2,00 out of 5

Arezzo. Annoiato dalla vita familiare, Arnaldo Nardi, cinquantenne impiegato di banca, non versa neanche una lacrima quando, vittima di un equivoco, viene lasciato da sua moglie e allontanato da casa senza neanche poter salutare le figlie, due gemelle che frequentano la quarta elementare. Senza por tempo in mezzo, risponde all’annuncio di una bacheca universitaria e, superato senza problemi un colloquio con i quattro studenti inquilini (che hanno la metà dei suoi anni), occupa la stanza libera del loro appartamento. Un po’ papà, un po’ zio, un po’ fratello maggiore, Arnaldo riesce a raddrizzare le vite dei quattro ragazzi e, facendolo, riesce a raddrizzare anche la propria.

La comicità di Pieraccioni perde il suo smalto

Anche Leonardo Pieraccioni, come Checco Zalone, è diventato papà (e la perla del film arriva solo durante i titoli di coda, con la canzone che l’autore dedica alla figlia appena nata). Se però il film sulla paternità del comico pugliese è un’esplosione di originalità e un moltiplicatore di risate, Un fantastico via vai rimesta nel già visto (addirittura un’autocitazione da I laureati, nella scena della fuga per non pagare il conto al ristorante) e strappa pochi sorrisi. Complice del comico toscano, co-autore di soggetto e sceneggiatura, dopo più di quindici anni di sodalizio con Giovanni Veronesi, è stavolta Paolo Genovese, già al timone dei due Immaturi e di Una famiglia perfetta, chiamato in causa forse proprio per la dimestichezza con l’argomento immaturità. Protagonista della storia, infatti, è un uomo di cinquant’anni, sognatore a occhi aperti, riparatore di giocattoli per hobby, che ancora vive nel rimpianto dei bei tempi andati e che, per questo, ha lasciato appassire una vita familiare dalla quale si estranea a tal punto che, quando sua moglie va su tutte le furie ritenendolo (erroneamente) colpevole di un tradimento, lascia che lei lo creda per avere un pretesto per evadere dalla routine.

Clandestinità e rinascita

Il rifugio? Un appartamento di studenti (due ragazzi e due ragazze, tutti da concorso di bellezza, improbabilità che la sceneggiatura giustifica con un espediente che lascia il tempo che trova), dove poter ricominciare a respirare aria fresca di libertà. Non è di un’avventura sentimentale che l’uomo ha il desiderio (infatti respinge fermamente le avances di una delle due compagne d’appartamento, a cui piacciono gli uomini “maturi”) ma di un luogo in cui rinascere, per acquisire un ruolo da protagonista in una vita in cui si percepisce come un clandestino. Il confronto generazionale, allora, da un lato mostra tutta l’inadeguatezza dell’uomo adulto a misurarsi con le abitudini di vita dei ragazzi (ma qui le gag non vanno oltre il fiatone dopo la corsa e la goffaggine come ballerino), dall’altro mette in luce come questi giovani abbiano bisogno di adulti capaci di educarli. Evaso da casa perché incapace del ruolo di marito e padre, quindi, Arnaldo scopre la bellezza dell’essere adulti nel prendersi cura di qualcun altro, nell’essere una guida per chi è più giovane. Come gli angeli viaggiatori dei film di Frank Capra, allora, sistema una per una le vite dei suoi nuovi amici che, fin troppo docilmente, si lasciano aiutare, a dispetto di riottosità e ribellismi giovanili.

Trama forzata e toni datati

Gli ingranaggi della commedia, in tutto ciò, non girano come dovrebbero: le svolte della trama sono forzose (in particolar modo quella che lega due degli studenti, in un doppio finale che si scioglie frettolosamente) e l’amalgama tra il tono moraleggiante e quello ruffiano rischia di vanificare anche le buone intenzioni. Il tono zuccheroso da favola a colori pastello, inoltre, sembra davvero provenire da un’altra epoca (gli anni Novanta, in cui Pieraccioni giustamente furoreggiava al botteghino). La simpatia dell’attore non si discute ma la sua capacità di raccontare mostra più di qualche crepa: da una colonna sonora che si fa così invadente da rendere incomprensibili alcuni dialoghi (nella prima parte), alle improvvise decisioni di graffiare soprattutto quando c’è di mezzo la Chiesa (una suora vittima di uno scherzo di cattivo gusto, un monsignore sboccato e imbecille interpretato da Enzo Iacchetti…).

Quanta falsità, poi, nel dialogo tra il protagonista e una delle ragazze, in cui quest’ultima, incinta, dopo aver raccontato di aver deciso di non abortire essendo capitata per sbaglio nel reparto maternità di un ospedale, precisa subito dopo di essere comunque “favorevole a divorzio, aborto ed eutanasia”. Una precisazione lasciata cadere come se niente fosse (sarà mica una questione di vita o di morte?) e che sembra essere stata aggiunta solo per evitare al film di essere adottato dal popolo pro-life, come era capitato ad Amore, bugie e calcetto (che per questo ebbe recensioni negative) e Lo spazio bianco (in quel caso fu la stessa regista a precisare, in una livorosa conferenza stampa, da che parte stesse). Come se ammettere che verità e bellezza vanno a braccetto avesse bisogno di un corollario o di una giustificazione…

Scegliere un film 2014

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