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Un sogno chiamato Florida


TITOLO ORIGINALE: The Florida Project
REGISTA: Sean Baker
SCENEGGIATORE: Sean Baker, Chris Bergoch
PAESE: Usa
ANNO: 2017
DURATA: 111'
ATTORI: Brooklynn Prince, Willem Dafoe, Bria Vinaite, Christopher Rivera, Valeria Cotto, Josie Olivo, Mela Murder.
SCENE SENSIBILI: turpiloquio, riferimenti sessuali, uso di droghe leggere, scene violente.
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Moonee, sei anni, vive con la madre al Magic Castle, un motel di bassa categoria tutto viola, a Orlando, ai margini di Disneyworld e della società. Nonostante il degrado che la circonda, la piccola trascorre allegramente l’estate in compagnia degli amici Scootey e Jancey. La giovane madre Halley, senza marito né compagno che l’aiuti a crescere la figlia, cerca di sbarcare il lunario arrabattandosi come può, mentre Bobby, il direttore del motel, aspetta pazientemente il pagamento mensile dell’affitto. Finché un giorno la donna decide di risolvere i propri problemi economici accogliendo nella propria stanza uomini disposti a pagare per le sue prestazioni sessuali. La novità non passerà inosservata ai vicini e agli assistenti sociali…

Una storia ad altezza di bambino

Un sogno chiamato Florida, per una precisa scelta stilistica del regista indipendente Sean Baker e del suo direttore della fotografia Alexis Zabé, è girato quasi come un documentario e ad altezza di bambino. Lo spettatore è incluso così nelle giornate della piccola Moonee, che scorrono lente e placide, ma senza mai un attimo di noia.
Moonee ha una madre giovanissima, Halley, molto permissiva. La donna, capelli verdi e corpo ricoperto di colorati tatuaggi, non la rimprovera mai, neanche quando la piccola dice le parolacce o si diverte a sputare sulle macchine altrui, insieme ai suoi amici Scootey e Dicky. Halley cerca di non far pesare alla figlia i propri problemi economici e trasforma ogni occasione in un momento divertente da vivere insieme, come quando fermano dei clienti fuori da alcuni hotel di lusso per smerciare abusivamente dei profumi contraffatti.
Moonee sembra non accorgersi del degrado e della mancanza di bellezza che circonda il piccolo mondo in cui vive e con un po’ di furbizia e di fantasia, ogni giorno diventa un’avventura da condividere in compagnia. La prima parte del film è proprio una concatenazione di piccoli momenti, quasi slegati tra loro, tra scherzi agli adulti, gelati elemosinati, incendi appiccati in vecchie case abbandonate. Moonee non conosce regole, né educazione, non avendo alcun esempio dalla madre. La sua vita, ai margini di ampi stradoni, è in netto contrasto con quella incantata di Disneyworld, distante pochi metri. È il paradosso statunitense, costituito da netti contrasti: dietro il mondo finto destinato a famigliole felici e costruito a misura di bambino, si nasconde un mondo drammaticamente reale, dove i bambini giocano in strada e mangiano junk food sopra un letto costantemente sfatto, guardando per ore la televisione, in compagnia di mamme single o giovani nonne rimaste a occuparsi della loro educazione.
Bobby, direttore del motel, interpretato da William Dafoe che per questo ruolo ha ottenuto una nomination agli Oscar come miglior attore non protagonista, è forse il personaggio adulto più umano di questo universo variopinto e surreale, costituito da famiglie mono-genitoriali e sole, in cui si fa fatica a sbarcare il lunario.

Denuncia politica e un briciolo di speranza

Sean Baker apre uno squarcio su una realtà fortemente disagiata, dove mancano la bellezza, la cultura e una progettualità educativa che vada oltre il mero aiuto pragmatico e immediato dell’assistenzialismo sociale e lo fa ponendosi all’altezza dei bambini protagonisti del suo film.
Tra atmosfere oniriche, scene improvvisate e altre girate con il cellulare, Un sogno chiamato Florida restituisce il sapore dei film sperimentali del passato, tra denuncia politica e un briciolo di speranza, qui affidata esclusivamente agli occhi dell’infanzia. Anche quando tutto sembra perduto, come nella scena finale, sono i bambini, con il loro sguardo aperto al mondo della fantasia e dell’evasione, a trovare una via di fuga al dolore arrecato dal mondo adulto. Il finale aperto, in cui Moonee, trascinata dall’amica Jancey, scappa dal mondo reale, per rifugiarsi metaforicamente in quello fantastico rappresentato da Disneyworld, lascia intuire che l’unica possibilità che la bambina ha di vivere una vita diversa, sia proprio lontano dall’ambiente in cui è finora cresciuta e che implica per lei un destino già scritto.
Al di fuori della metafora, però, resta da chiedersi che adulta diventerà lei stessa, quando dovrà necessariamente tornare nel mondo reale, senza validi punti di riferimento da seguire e a cui ispirarsi.

Eleonora Fornasari

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