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Vicini di casa


TITOLO ORIGINALE: Vicini di casa
REGISTA: Paolo Costella
SCENEGGIATORE: Giacomo Ciarrapico e Paolo Costella
PAESE: Italia
ANNO: 2022
DURATA: 83'
ATTORI: Claudio Bisio, Vittoria Puccini, Valentina Lodovini e Vinicio Marchioni
SCENE SENSIBILI: Dialoghi molto espliciti nell’ambito della sfera sessuale
1 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 5

Federica (Vittoria Puccini) senza aver avvisato il marito, Giulio, musicista e professore al Conservatorio (Claudio Bisio), invita a cena i nuovi vicini: il pompiere Salvatore (Vinicio Marchionni) e la psicologa Laura (Valentina Lodovini). Le due coppie sono agli antipodi. Giulio e Federica hanno una figlia (e scopriremo che lei avrebbe voluto più figli ma lui lo ha sempre impedito), stanno insieme per inerzia, nella routine più grigia, trascinando, rassegnati e senza ammetterlo, un legame privo di passione e felicità. Salvatore e Laura, invece, sono amanti focosi, consapevoli, ma senza alcuna vergogna, di disturbare i vicini con le loro rumorose effusioni notturne e addirittura protagonisti di spudorate orge e disinibiti scambi sessuali multipli a cui invitano gli stessi loro ospiti. Se Giulio, scandalizzato, vorrebbe solo che i provocatori uscissero da casa sua, Federica è attratta dalla passionalità e dalla voglia di vivere che i due trasmettono. Salvatore e Laura, che fin dall’inizio avevano sospettato come stavano le cose, fanno breccia nel dolore dei vicini e li inducono a interrogarsi con verità sul senso del loro matrimonio.

Sul filo di una difficile eleganza

Se per l’impianto narrativo bisogna riconoscere il merito al solido testo teatrale dell’autore spagnolo Cesc Gay, (diventato un film anche in Spagna nel 2020 col titolo Sentimental), va riconosciuto agli autori Ciarrapico e Costella di aver lavorato con intelligenza alla scrittura di questo film tutt’altro che banale. I due, oltre che registi sono sceneggiatori di esperienza e se ne servono in modo felice affrontando un tema, quello della sessualità, abbondantemente bistrattato dalla commedia italiana. Il rischio di scadere nella volgarità pruriginosa o in un vuoto gioco di doppi sensi viene evitato sul filo di una difficile eleganza e, senza mai indulgere a immagini inaccettabili, permette allo spettatore di ridere e riflettere nel contempo, immedesimandosi con naturalezza nei quattro ottimi interpreti, Bisio su tutti. Paolo Costella (a cui si deve la sceneggiatura del fortunatissimo Perfetti sconosciuti) conferma anche dietro la macchina da presa di saper gestire, senza che risulti ostica, l’unità di luogo tipicamente teatrale e guida gli interpreti con ritmo e misura.

L’automedicazione laica di quel che resta del matrimonio

Ci si può interrogare in vari modi di fronte all’oggettiva crisi dell’istituto matrimoniale, così evidente in tutto il mondo occidentale. Il tema non è d’attualità e attraversa la storia del cinema, ma oggi più che mai la coppia in crisi sembra essere elemento imprescindibile di qualunque storia si voglia rappresentare. Vicini di casa non ambisce certo ad essere una disanima colta sulle cause del fenomeno: è e resta solo una commedia; ciò nonostante il film è onesto nell’offrire al pubblico la medicina che ritiene più preziosa per sanare le ferite dei legami sentimentali. Tutto è ricondotto alla centralità della relazione sessuale, ma interpretata esclusivamente nella sua dimensione ludica, di appagamento del piacere reciproco, che sarebbe tanto più sana quanto più trasgressiva e disinibita. La mancanza di una felice relazione sessuale sembrerebbe la causa della crisi e non piuttosto una delle più evidenti conseguenze: fra l’altro, magari, non sempre la più grave. È chiaro che siamo su un piano squisitamente immanente che esclude ogni riferimento al valore della corporeità in un’ottica non solo creazionista, ma anche semplicemente di un umanesimo non materialista. I nostri parlano di sessualità in chiave del tutto edonistica e, inoltre, la provocazione del sesso multiplo fa scempio di una dimensione di esclusività e di pudore che la relazione coniugale non può non custodire come componente essenziale. Ciò detto, però, il finale aperto, lascia allo spettatore la libertà di porsi domande e coltivare la speranza che “curare l’amore” non sia solo un’utopia.

Giovanni M. Capetta

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